Lo sfratto è per finita locazione e non si blocca: "Così in piena zona rossa rischiamo di restare per strada"
Giulia (nome di fantasia) ha gravi problemi di salute e non può muoversi. Insieme al figlio aspetta l'ufficiale giudiziario per il 17 marzo
Il blocco degli sfratti inserito dal Governo nel decreto Milleproroghe non ferma tutte le esecuzioni. La sospensione, valida fino al 30 giugno 2021 per le sentenze dovute a morosità degli inquilini, non riguarda motivazioni come la ‘finita locazione’ o la ‘necessità’. È così che una donna e suo figlio, residenti nel quartiere Ottaviano, a Roma, nel corso della terza ondata di Coronavirus, in piena zona rossa, si trovano di fronte alla possibilità di finire per strada. L’appuntamento con l’ufficiale giudiziario è fissato per domani mattina, 17 marzo 2021, alle 8, e “nessuno è riuscito a darci rassicurazioni in merito a un possibile rinvio”. Anzi. “L’ufficiale giudiziario è venuto a dirci nei giorni scorsi che si presenterà”.
Ad essere sotto sfratto sono una donna di 63 anni e il figlio di 45. Lei si chiama Giulia (nome di fantasia) e soffre di una grave forma di anoressia che la debilita e che la porta periodicamente a svenimenti e a dover ricorrere a cicli di cure, come la nutrizione per via venosa. Pesa 37 chili. Lunedì 15 marzo, a meno di 48 ore dallo sfratto, era al pronto soccorso per una sincope: “Paziente acuto, stabile con possibile compromissione in breve tempo dei parametri vitali”, si legge nel referto. “Si consiglia riposo per una settimana”.
Però, a meno di 24 ore dalla data prevista per lo sfratto, che per il riposo richiesto verrà garantita una casa non c’è alcuna certezza. E, in ogni caso, il timore di uno sfratto permette poco riposo anche oggi che Giulia è ancora nell’appartamento con tutte le cose che le servono: “La mia malattia si acuisce quando ho un problema, i medici mi dicono sempre che devo stare tranquilla. Quando ho paura non riesco nemmeno a bere e ora, mentre sto parlando, non ho le forze per camminare. Mio figlio mi cura tutto il giorno e di notte mi resta accanto per essere sicuro che non accada niente”.
Giulia è finita in quella casa a due passi dal Vaticano nel giugno del 2020. “Abitavamo fuori Roma con mio figlio, dopo l’Olgiata, molto lontano dagli ospedali dove sono in cura. Non ho la macchina e con il treno era diventato troppo faticoso”. Per questo ha deciso di affittare un appartamento più vicino alle strutture sanitarie di cui ha continuamente bisogno. “Era una case vacanza rimasta vuota a causa della pandemia. Ci chiedevano 900 euro al mese. Avevamo un contratto transitorio, da rinnovare di mese in mese”. I problemi sono iniziati quasi subito tanto che ne è nato un contenzioso in Tribunale al termine del quale è arrivato lo sfratto.
In quel periodo Giulia aveva un lavoro: “Sono un’arredatrice di interni e negli anni passati ho sempre lavorato molto bene. Un conoscente mi ha proposto un contratto di collaborazione. Potevo lavorare da casa perché dovevo effettuare dei disegni. È stato un colpo di fortuna, tra le mie condizioni di salute e la pandemia è difficilisso trovare lavoro. Mi avrebbero garantito il pagamento dell’alloggio ma dovevo pagare con il bonifico”.
Così si sono aperte le porte del Tribunale: “Avevamo intenzione di proporre la stipula di un contratto di tre anni, rinnovabile di altri due, ed eravamo disposti a versare gli arretrati. Ma non è stato possibile”. Giulia e il figlio, alla prima udienza fissata per novembre, non si sono potuti presentare: “La Asl ci aveva messo in isolamento per sospetto Covid, stavamo aspettando i risultati dei tamponi molecolari. Non ci siamo presentati e non siamo nemmeno riusciti a delegare un legale. La nostra richiesta di rinvio dell’udienza non è stata ascoltata”.
Il 12 gennaio 2021 lo sfratto per finita locazione diventa esecutivo. Appuntamento il 17 marzo alle ore 8. “Eravamo convinti che in zona rossa non fosse possibile effettuare uno sfratto e invece l’ufficiale giudiziario ci ha confermato che si presenterà. Nessuno ci può dare garanzie che questo non accadrà davvero. Verrà con la forza pubblica? Quante persone dovranno assembrarsi dentro casa per mandarmi per strada?”.
La voce di Giulia trema: “Faccio fatica a descrivere come mi sento, mi chiedo se sia normale in un paese civile esporre delle persone, nelle mie condizioni per di più, a tutto questo. Al momento non abbiamo alternative ma io non ho intenzione di rimanere in questa casa per sempre. Voglio solo avere la possibilità di curarmi, di riprendermi quanto basta per potermi spostare e aspettare di uscire dalla zona rossa perché in questo momento, per me, è pericoloso andare in ospedale. La mia famiglia vive ancora in Lombardia, abbiamo intenzione di trasferirci lì. Ma non ho le forze per spostarmi e, inoltre, devo riprogrammare le cure in un’altra struttura. Come è possibile in questo momento di pandemia?”.