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Scuola, oltre 100 intellettuali firmano appello a sostegno degli studenti in protesta: "No alla repressione"

Dopo la circolare di Pinneri (Usr Lazio) in cui chiede ai presidi di usare il pugno di ferro, un gruppo tra artisti, scrittori, docenti e giuristi firma una lettera di solidarietà: "Questo sistema di gestione delle proteste cessi immediatamente"

Denunciare chi occupa per interruzione di pubblico servizio "avendo cura di identificare, nella denuncia, quanti possiate degli occupanti". E' la richiesta messa nero su bianco in una circolare inviata ai dirigenti scolastici prima di Natale da parte di Rocco Pinneri, dirigente dell'ufficio scolastico regionale. E ancora: "Occorrerà che chiediate a chi è stato identificato  - prosegue la lettera - di risarcire la spesa per la sanificazione della scuola assieme a ogni eventuale danno, non essendo giusto che se ne debba far carico la collettività". Una presa di posizione mal digerita dalle associazioni studentesche che in queste ore stanno ricevendo solidarietà tramite un appello, firmato da oltre cento tra intellettuali, professori universitari, artisti, giornalisti, avvocati, economisti, esponenti politici e sindacalisti. 

"Quanto sta avvenendo a Roma e in maniera minore in altre città come Firenze, Bologna e Torino - si legge nel testo dell'appello - non può essere derubricato a questione di 'ordine pubblico', ma chiama in causa profonde ferite che le giovani generazioni stanno vivendo dopo oltre due anni di convivenza con la pandemia. Alle carenze strutturali di sempre del diritto allo studio si è aggiunto in questo periodo un vero e proprio blackout pedagogico, con centinaia di migliaia di studenti che hanno abbandonato gli studi e la perdità di credibilità del processo formativo come strumento di emancipazione". 

Da Ascanio Celestini a Christian Raimo, dall'economista Marta Fana a Moni Ovadia, ma anche Nunzio D'Erme, il vicepresidente emerito della corte costituzionale Paolo Maddalena, l'ex ministro Lorenzo Fioramonti: in tanti, anche nomi di peso, si stanno schierando al fianco delle migliaia di studentesse e studenti che da settembre a oggi sono in perenne mobilitazione tramite cortei, scioperi, sit-in e occupazioni (oltre 50 in due mesi e mezzo a Roma). "Le occupazioni di queste settimane - si legge nella lettera, che ogni giorno vede aggiungersi nuovi firmatari - sono un segnale di allarme generale con cui gli studenti stanno comunicando la propria sofferenza al mondo e alla politica, la risposta non può e non deve essere il pugno di ferro della repressione. Sono già, invece, diversi i casi di sospensioni, denunce e sanzioni disciplinari di vario tipo disposte dalle scuole a danno degli studenti e delle studentesse in mobilitazione e sempre più frequenti terrificanti immagini di forze dell’ordine che, in divisa o in borghese, entrano dentro edifici scolastici e aggrediscono fisicamente gli studenti". 

Due episodi tra i più eclatanti si sono verificati proprio nella Capitale: il primo fuori dal liceo artistico Ripetta, quando un gruppo di agenti della polizia è entrato in collisione con un centinaio di giovani che volevano entrare nella scuola occupata la sera precedente per supportare la protesta; il secondo in zona Spinaceto, dove tre agenti in borghese sono intervenuti durante un'assemblea in cortile, identificando e portando al commissariato di zona una decina di studenti tra cui due attivisti del collettivo Osa. In entrambi i casi è intervenuta la politica, con interrogazioni parlamentari e dichiarazioni al vetriolo nelle quali si è accusata la forza pubblica di aver superato il limite. 

"Facciamo dunque appello al mondo della cultura, agli insegnanti, alle organizzazioni di categoria, a giuristi e tutti coloro condividano quanto scritto  - si conclude l'appello - affinché questi episodi e questo sistema di gestione delle proteste cessi immediatamente di essere applicato, in nome dell’agibilità democratica di questo Paese è necessario cogliere le spinte progressiste che vengono invocate dagli studenti aprendo un tavolo di confronto con tutte le parti chiamate in causa".

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