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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Redazione

Roma Nord non è il Vietnam, ma nemmeno Versailles

Uno spaccato di disagio sociale e senso di appartenenza che nulla hanno a che vedere con la faida tra “top” e “daje”

Non è Vietnam, ma nemmeno Versailles. Sull’iperbole di Pietro Castellitto si è ironizzato molto in queste ore, ma sul fatto che Roma Nord sia “un posto feroce”, c’è tutto un vissuto da esplorare, inconcepibile per chi immagina la “Roma bene” semplicemente come un luogo ovattato ed elitario, dove l’unica preoccupazione sia se fare l’aperitivo a Ponte Milvio o a Piazza Euclide, se prenotare le vacanze di Natale a Cortina o a Sharm el sheikh.

Non è un posto dove si lotta alla giornata col pugnale tra i denti, chiariamoci. La cena in tavola ci sarà sempre, con tanto di piattini di limoges e brandy a gradire, puoi permetterti di immaginare un futuro, persino di ipotecarlo e l’ascensore sociale molti devono solo chiamarlo al piano. A mancare sono spesso quei valori di compassione, inclusione e solidarietà che ho trovato sicuramente più alle Torri o alla Garbatella, che la domenica mattina in chiesa a Piazza Giuochi Delfici. Dove vai per senso di carità, magari accompagnata anche dal barboncino toy e partecipando con entusiasmo alle aste di beneficenza, ma i mendicanti all’ingresso della parrocchia sono e restano gli ultimi. La povertà non va guardata dritta negli occhi.

Chi va in guerra torna profondamente cambiato a livello umano, ma a Roma Nord il senso di umanità è tutt’altra cosa. Se in certi quartieri è una reazione istintiva alle difficoltà, l’impulso a reagire e contare sull’associazionismo per sfuggire alla sordità delle istituzioni, sono più le volte che ai Parioli e a Vigna Stelluti l’umanità è una spilla da sfoggiare: indica una persona educata, con profondo senso di dignità e decoro, una gelida discrezione per cui i problemi della gente sì, esistono, ma se sono i tuoi è bene non sbandierarli troppo in giro. Che siano difficoltà finanziarie, bocciature a scuola, disturbi dell’alimentazione, tossicodipendenza, tradimenti o faide famigliari, l’apparenza è la cipria da spargere su ogni circostanza, per non turbare il senso di perfezione.

Ed è qui che subentra la “violenza” a cui faceva probabilmente riferimento Castellitto. Perché a Roma Nord il lusso di essere fragili e di rimanere indietro non te lo puoi proprio permettere, a meno che non voglia scontrarti con il pietismo dell’insuccesso e il senso di inadeguatezza. Sei “capitale umano”, ogni frazione della tua vita è investimento che la tua famiglia compie non solo per il tuo bene, ma per permettere loro di estendersi socialmente, in un contesto dove emergere grazie a ingegneri, avvocati, notai, stilisti o medici vuol dire guadagnare prestigio sociale, brillare e se necessario anche eclissare gli altri, sfruttare le “conoscenze” per fare a gomitate in una società dove se resti ai margini, sprofondi in una solitudine sociale profonda come un abisso. Nulla a che vedere con le bollette da pagare, criminalità a bordo strada (ma comunque sistemica), sfratti e “i problemi veri della gente”, certo, ma anche questo è disagio, seppur patinato.

A Roma Nord il lusso di essere fragili e di rimanere indietro non te lo puoi proprio permettere, a meno che non voglia scontrarti con il pietismo dell’insuccesso e il senso di inadeguatezza

È il disagio di chi si trova a essere una pedina, un trofeo, una protesi dell’arrivismo parentale in un mondo dove o sei pesciolino o pescecane. Persino la scelta di una scuola è bigliettino da visita di chi puoi aspirare a diventare, soprattutto se cresci in un liceo dove gli insegnanti, ai Parioli, per spronarti ti strigliano a suon di: “Qui si studia e si dà il meglio, se non ti va puoi sempre fare il benzinaio a Centocelle”. L’umiltà è fallimento.

Il “sergente Hartman” della situazione è l’aspettativa sociale, da opportunità a stigma che ti accompagna nella maggior parte dei casi fin dalla nascita.

La caserma per chi vive su via Flaminia, via Cassia, viale Parioli e via della Camilluccia è invece una cornice sociale da bordi stretti, un binario a senso unico dove uscire dalle righe vuol dire essere emarginati da chi sa già qual è il suo posto, almeno a Roma Nord. In effetti allora, c’è sì una guerra di posizione a Nord di Roma, come tanti meme hanno immaginato, ma è il conflitto costante di chi combatte per liberarsi dagli stereotipi, da una vita così sottovuoto e preconfezionata da altri, che a un certo punto rischi di soffocarci dentro anche tu.

Ho sempre visto le famiglie di Vigna Clara e Collina Fleming come le tipiche pubblicità alla Mulino Bianco, dove la realtà è così immutabile, che a un certo punto ti chiedi se anche tu un giorno comincerai a sentirti di plastica, circondata da milf ed ereditiere alla Virgin e all’Acquaniene. Perché a un certo punto, a forza di vivere nei ruoli, negli schemi fissi che ti induce una società del genere, finisci per sentirti strappar via anche la possibilità di evadere e di decidere per te stessa. A distanza di anni, scappata a gambe levate da quel mondo, quando mi chiedono com’è “vivere a Roma Nord”, credo che l’esempio più significativo per comprendere quel mondo sia invece il film "Caterina va in città" di Virzì, proprio con Sergio Castellitto. Una cartolina grottesca di come Roma Nord ti strattoni e costringa a scegliere sempre chi essere in compartimenti stagni, dove il conflitto c'è, ma nel mantenere posizione sulla costruzione della propria identità. Tipo per me è cornetto, non "croissant", “top!” non lo dico, figuriamoci il “daje”.

Un mondo cristallizzato, dove cresci sotto una teca di vetro e dentro una vetrina rimani fino a che non ne puoi più. E sì, anche questa è sopravvivenza. Il Vietnam di Roma Nord, allora, non ha nulla a che vedere con la povertà economica, ma è una lotta per riappropriarsi di una finestra umana: la libertà di uscire fuori dagli schemi.

Il “sergente Hartman” della situazione è l’aspettativa sociale, da opportunità a stigma che ti accompagna nella maggior parte dei casi fin dalla nascita.

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