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Covid: morto Raffaele, infermiere di 40 anni. È la prima vittima tra i sanitari al Grassi

Zagaria aveva contratto il virus un mese fa, forse durante il cluster di fine gennaio. Decine i messaggi di cordoglio

Un professionista "preparato e irreprensibile, sempre cordiale, educato, mai fuori luogo": così i colleghi ricordano Raffaele Zagaria, infermiere 40enne morto dopo essere stato contagiato dal coronavirus.

Zagaria era iscritto all’Ordine delle professioni infermieristiche di Caserta e lavorava nel reparto di Medicina dell’ospedale Grassi di Ostia. Era stato contagiato più di un mese fa, ed è la prima vittima dell’infezione da Sars-Cov-19 registrata tra il personale del Grassi, che lo scorso 22 gennaio aveva stoppato i ricoveri proprio a causa di un cluster rilevato nella parte che avrebbe dovuto essere “covid free”.

L’infermiere, iscritto all’Ordine di Caserta da 18 anni e in prima linea sin dall’esplosione della pandemia, aveva contratto il virus ed era rimasto ricoverato in terapia intensiva nell’ospedale di Ostia prima di essere trasferito al Policlino Umberto I. È qui che è morto dopo un mese di lotta, lasciando la moglie e due bambine.

Decine i messaggi di sconcerto e dolore da parte di chi lo conosceva, gli voleva bene e lo stimava, dall’Ordine degli Infermieri di Caserta, che “si stringe in un abbraccio ai familiari e ai colleghi per piangere Raffaele” al personale del Grassi passando per i tanti colleghi che hanno condiviso con lui la quotidianità.

“Oggi si lavora con una tristezza infinita nel cuore, riposa in pace Raffaele”, è l’addio di una collega, e ancora: “Collega fedele, uno che non si ritira mandando altri in prima linea, un professionista di alto livello, un uomo per bene. Amatissimo Raffaele, non ci sei più, avevi solo 40 anni”.

Si tratta dell’ennesima vittima del coronavirus registrata tra il personale sanitario da inizio pandemia. I dati parziali dell’Inail testimoniano che i contagi sul lavoro da covid-19 denunciati al 31 dicembre 2020 erano 131.090, ben 423 i morti, in maggioranza uomini (83,2%) e con un’età tra i 50 e 64 anni (70,2%). Tra loro, gran parte sono infermieri.

«Il timore che avevo già in passato si sta avverando - commenta Rita Solaro, sindacalista e referente di Nursing Up Lazio - gli ospedali pubblici sono stati depauperati di tutto e noi siamo stanchi. Rispetto alla prima ondata per noi non è cambiato assolutamente niente, non abbiamo avuto il tempo materiale per respirare, ci sono stati casi in cui i reparti sono tornati per breve tempo quasi normali e poi è ricominciato tutti, ma i colleghi non ce la fanno più, fisicamente e mentalmente».

E la notizia dell’ennesima morte contribuisce a gettare la categoria ancor più nello sconforto: «Una cosa era l’inizio, quando abbiamo tutti dovuto affrontare una cosa che non conoscevamo, ma è passato un anno - conclude Solaro - Siamo sempre a rischio, molti hanno crisi di sconforto e di pianto quando devono vestirsi da capo a piedi, e se la gente prima ci guardava e applaudiva dai balconi ora addirittura ci insultano. Alcuni colleghi vengono minacciati perché dicono di mettere la mascherina».

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