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Il centro di Roma si scopre disabitato: negozi e farmacie aperti (e deserti), gli affari latitano

Senza il motore turistico, annientato dal coronavirus, crolli di fatturato fino all'80% anche per chi è rimasto aperto. Pochissimi infatti i romani che abitano ancora il cuore della città

"Al 70% vendo a stranieri, i residenti qui non ci stanno più, ho lavorato sì ma solo mezza giornata". A salvare Stefano forse qualche mascherina protettiva, posizionata vicino alla cassa insieme ai tubetti di gel igienizzante per le mani, acquistati quando la pandemia, a inizio marzo, ha congelato Roma. Anche le tinte per capelli, con i parrucchieri chiusi, hanno attirato qualche signora del rione alle prese con il fai da te. Ma il tracollo per il suo piccolo negozio di profumi è stato inevitabile, senza bisogno di abbassare le serrande. In via Urbana, cuore di Monti, con turismo e movida spazzate via dal coronavirus, sopravvivere è stata dura, anche per chi è rimasto aperto.  

"Io sono nato qui, una volta era un posto pieno di ragazzini, di bambini, di romani. Oggi è un dormitorio di stranieri, noi proviamo ad adattarci". Pochi metri più in giù, scendendo ancora su via Urbana, c'è il negozio di Antonio. Un altro esercizio del quartiere che ha proseguito le attività, nonostante il lockdown. Un panificio. "In questo periodo di Pasqua e dei ponti di primavera lavoravamo soprattutto con i turisti, qui i residenti non ci sono più". Le cifre sugli scontrini sono un po' più alte, chi comprava un paio di rosette al massimo, in queste settimane si è rifornito di filoni di pane per tutti i pasti consumati a casa. "Abbiamo visto che le abitudini nel fare la spesa sono cambiate molto". Certo avesse avuto lo stesso negozio fuori dal Centro città, dove abita magari, al Tiburtino, gli affari sarebbe andati decisamente meglio. 

A Trastevere il quadro è simile, se non peggiore. Qui la gentrificazione del rione è ancora più profonda e corre indietro nel tempo. Bar, ristoranti, locali, piccole boutique artigiane, sono a uso e consumo del turista di giorno, del divertimento notturno al calare del sole. Annientati entrambi dalla pandemia, rimanere aperti, per chi ha potuto, è servito davvero a poco. "Ho aggiunto qualche prodotto alimentare, pasta, scatolame, per vedere di attrarre chi magari non voleva andare al supermercato" racconta Daniele, titolare di una piccola enoteca di via della Scala. "Quante persone entrano al giorno? Non saprei, a volte anche tre, quattro, cinque". Una moria rispetto alle orde di frequentatori dei tempi ordinari. Sulla stessa via sopravvive anche Omar, con il suo tabacchi. "Conto un centinaio di clienti al giorno, ma calcola che prima stavo aperto fino alle 2 di notte, ora chiudo alle 18. Riesco appena a pagare l'affitto"

Non è andata meglio a chi ha provato a vendere riviste e quotidiani, se ha un chiosco in pieno Centro storico, come Diego. In una piazza di Spagna ancora spettrale, animata giusto da un paio di camionette della Polizia, attende la fase 2. Senza troppo ottimismo. "Ci vorrà tempo perché tornino i turisti, per noi non basterà qualche riapertura di attività. Senza contare che per bar e ristoranti ci vorrà comunque un altro mese. Le nostre entrate arrivano da lì. Turisti ovviamente e clienti di negozi e locali".  

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Edicole, alimentari, profumerie, forni, e, altra grande categoria sofferente in un Centro rimasto deserto, le farmacie. Colpite e affondate dall'assenza di turisti. "Qui ci sono solo uffici e stranieri che visitano la città, cosa le devo dire. Non lavoriamo". Rossella ci racconta dietro a un vetro protettivo il tracollo della farmacia internazionale di piazza Barberini, angolo via delle Quattro Fontane. Due carabinieri si fermano per acquistare dei guanti in lattice. Un miraggio, dopo una mattinata con pochi, pochissimi clienti. "Saranno una cinquantina quando va bene in tutta la giornata, normalmente sarebbero 400. Calcoliamo l'80% in meno di fatturato". Senza considerare la beffa che si è aggiunta al danno: un anno trascorso con la fermata della metro chiusa per i guasti alle scale mobili, con annesse conseguenze sulla casse di tutto il commercio della zona. 

Stesso scherzo del destino che ha colpito Cristina, una delle due titolari della farmacia storica sotto i portici di piazza della Repubblica, rimasta ostaggio 8 mesi di una metropolitana inagibile e, anche allora, di un flusso turistico quasi dimezzato. Era il 2019. Giusto il tempo di smaltire i postumi, che di batosta ne è arrivata un'altra, ben più grossa. "Ci hanno salvato i dipendenti del ministero della Difesa - racconta dietro al bancone in legno del negozio, completamente vuoto - quelli che hanno continuato a lavorare in sede, credo il 30%. Speravamo un po' nella riapertura delle librerie, c'è la Feltrinelli qui dietro, ma ha smosso poco". Già, altra storia rispetto alle farmacie di quartiere, quelle lontane dai monumenti più visitati al mondo, che hanno continuato a servire i loro clienti abituali, specie con la vendita di medicinali su ricetta. "Chiediamo aiuti allo Stato, aiuti per il pagamento degli affitti, delle utenze, la cassa integrazione oltre le nove settimane". 

Istanze messe nero su bianco, con l'aiuto dei rappresentanti sindacali, da un collega della vicina farmacia settecentesca di piazza di Spagna. "Abbiamo sette dipendenti su nove in cassa integrazione, il fatturato è crollato dell'80%, il centro e deserto e qui i residenti sono pochissimi" racconta il dottor. Filippo Mencarelli, diventato il portavoce delle farmacie del Centro storico. "C'è bisogno di azioni forti, la situazione non si risolverà in un breve periodo". E chi è rimasto aperto non ha potuto contare sugli aiuti del Governo, vedi il credito d'imposta per il 60% sulle locazioni. "Qui paghiamo tantissimo di affitto, cifre da far tremare i polsi, chiediamo di essere ascoltati in fase di conversione del decreto". Attivare la cedolare secca anche per i contratti a uso commerciale, la sospensione delle rate dei mutui, le utenze a tariffe agevolate. La lista è lunga. Ed è l'unica speranza per ricominciare. 
 

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