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Il libraio di Largo Chigi che consegna a domicilio in zona rossa

"Oggi le persone vogliono meno fantascienza e più narrativa", spiega Massimo Botrini, storico titolare della M.T. Cicerone che vede un futuro fosco: "Sono molto più che preoccupato. Serve uno stop alle imposizioni"

“Sono molto più che preoccupato. Dire preoccupato è poco: questa è un’attività storica, lavoro da 33 anni qui, siamo aperti dal 54 ed è tutto immobile”: a parlare così è Massimo Botrini, titolare della storica libreria Marco Tullio Cicerone. Chi non sa dove si trovi? Chi non ci è passato avanti almeno una volta? Si tratta dello storico esercizio a cui si accede dalla scala che porta nei sotterranei di Largo Chigi, a pochi passi da piazza Colonna. Il libraio, per tenere alto il ritmo e la frequenza dei suoi ordinativi anche nei giorni della zona rossa, ha pubblicato su Facebook un invito alle consegne a domicilio: “In questo nuovo periodo di " reclusione forzata" la mia libreria , Libreria M.T. Cicerone, è al fianco di tutti i lettori. Effettuiamo consegne a domicilio in tutto il primo municipio”, ha scritto Botrini, riscontrando il successo dei residenti. A RomaToday ha raccontato la difficoltà del portare avanti un esercizio nel centro storico al tempo della pandemia.

“Ormai con questi lockdown la gente si sta affezionando alla modalità delivery e bisogna provare a fare questo tipo di proposta”, ha spiegato Botrini: “Chi sta a casa ha difficoltà a uscire, per quanto possiamo, essendo un esercizio di prossimità, portiamo quel che riusciamo a domicilio. Nel primo lockdown fra gli acquisti più richiesti vi erano i libri di fantascienza, titoli che, scritti 30 o 40 anni fa, anticipavano l’attuale stato delle cose. Per dire: George Orwell, Philip K. Dick e altri autori del genere. Nella seconda fase di lockdown, quella attuale, stufi di questo tipo di letteratura per così dire apocalittica vedo i lettori tornati ai classici, spesso a romanzi che fanno il paio con le serie televisive. Il commissario Ricciardi va forte, Montalbano è intramontabile, autori come De Giovanni o De Cataldo non tramontano mai. Diciamo che la letteratura e la televisione vanno in parallelo, il lettore che vede serie Tv poi si affeziona ai personaggi e ha piacere di ritrovarli anche nella lettura”.  

Accanto a questo scenario riguardante il consumo culturale nei giorni della pandemia, c’è la sincera preoccupazione di un esercente del centro storico che non sa se e come uscirà da questi mesi durissimi: “Intorno a noi c’è il deserto, il centro storico è nel deserto più totale. Prima la clientela era fatta dagli impiegati, dai lavoratori, da chi lavorava alle poste e dai tanti che magari in pausa pranzo ci venivano a trovare. Fra lo smart working e gli uffici chiusi, i turisti che non ci sono più, tutto è diventato più difficile, non è come nei quartieri periferici dove la vita in qualche modo continua. E mi auguro che tutto torni com’era, perché altrimenti qui siamo morti. Il centro storico senza passeggio è la fine, il commercio si esercita con chi passeggia per così dire, va in giro, acquista e approfitta di un giro in centro città”.

Il rapporto con le istituzioni, spiega poi, rimane molto difficile: “La presidente del municipio Sabrina Alfonsi è molto disponibile, vorrebbe fare molto ma per un ente piccolo le possibilità sono modeste. Il comune non esiste e lo stato per noi oggi è il nulla. Io ho ricevuto, dall’inizio della pandemia, due volte seicento euro. Mi dica lei se così si può andare avanti. Gli aiuti preventivati e annunciati si sono rivelati più che altro slogan da circo, per me penso non ci sia stato praticamente nulla e non credo di essere l’unico a dire così”. Le richieste di un commerciante del centro storico? Semplici: “C’è bisogno di bloccare tutto, tutti i tributi, le tasse, gli affitti, la corrente; serve un tempo bianco, il famoso tempo bianco per dare a tutti la possibilità di rimettere in sesto le famiglie e riaprire con serenità. Di volta in volta vengono identificati degli “untori”, prima erano i ristoranti, poi le palestre, poi i cinema e sappiamo che nessuno di loro era il reale problema. Noi formalmente siamo aperti, ma per come stanno le cose, aperti o chiusi non c’è differenza; anzi, essere aperti per noi oggi è un costo”.

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