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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Nel Lazio un reattore nucleare per generare energia pulita: la sfida dei ricercatori italiani

Nasce a Frascati un impianto (sperimentale) per la fusione che mira a risolvere i problemi tecnici e ambientali di questo tipo di tecnologia. Senza i quali, stando ai promotori del progetto, si potrebbe produrre elettricità in modo sostenibile

Un grande progetto tutto italiano che darà una spinta in avanti verso la produzione di energia elettrica tramite fusione nucleare. È quello messo in piedi da ENEA, ENI e consorzio CREATE con un finanziamento da 600 milioni per la costruzione dell'impianto del Divertor Tokamak Test (DTT), un polo tecnologico per la fusione nucleare nella cittadella scientifica di Frascati. Parte di questo investimento viene dalla Bei, la Banca europea per gli investimenti

Un’alleanza a cui si sono recentemente uniti sei nuovi partner: INFN, Consorzio RFX, Politecnico di Torino, Università della Tuscia, di Milano Bicocca e di Roma Tor Vergata – cui a breve si affiancherà il CNR. ENEA stima una ricaduta sul PIL nazionale da due miliardi, e la creazione di almeno 1500 nuovi posti di lavoro. Una delle locomotive che traineranno l’Italia nella ripresa post-Covid.

Ne abbiamo parlato con Alessandro Dodaro, Direttore del Dipartimento Fusione e tecnologie per la Sicurezza Nucleare di ENEA, direttamente impiegato per DTT.

Ingegner Dodaro, in cosa consiste il progetto?
Il DTT è un impianto che vuole risolvere uno dei problemi ancora aperti dell’energia nucleare da fusione: lo scarico del plasma esausto, cioè la parte di plasma dentro cui si genera la fusione e che ha esaurito il suo scopo. Il divertore è la parte di un reattore a fusione dove vengono rilasciate la maggior parte di queste particelle scartate. Il vero problema è che un reattore a fusione che genera energia elettrica produce anche delle quantità enormi di energia da smaltire a temperature elevatissime, e non ci sono al momento materiali che resistano a queste temperature. Noi a Frascati cerchiamo quel materiale. 

Quindi l’obiettivo finale è la produzione di energia?
Sì, in futuro, ma non direttamente in questo impianto. Noi cerchiamo di mettere in grado un vero reattore a fusione nucleare di produrre energia elettrica. Il DTT resta un reattore sperimentale, e lo stesso fa il suo cugino maggiore nato dall’alleanza delle comunità scientifiche globali, ITER, che si occuperà di altri settori della ricerca sulla fusione. A Frascati ci occupiamo di un pezzettino di quella che sarà una grande innovazione, tra qualche anno: il primo reattore che emetterà energia sulla rete elettrica, e che si chiamerà DEMO. 

A che punto è questo progetto?
A livello teorico è il progetto è concluso, nel senso che abbiamo individuato i parametri che dovrà avere il DTT e le sue dimensioni. Vanno ancora studiate soluzioni per la fisica di questo plasma e sul primo materiale che testeremo. Abbiamo già assegnato gli appalti per un lotto di contratti da 56 milioni per i chilometri di cavi superconduttori e la gara per i magneti. L’assemblaggio della macchina inizierà quando avremo finito di acquisire tutti i componenti. Un’altra delle cose da fare è lo smantellamento del precedente reattore a fusione che c’è nel centro di Frascati dove costruiremo il DTT. Ha funzionato fino a fine 2019, pochi giorni fa abbiamo ricevuto il decreto di autorizzazione al processo per il decommissioning che si fa per i siti nucleari. Partiremo quindi a spron battuto con lo smantellamento.

Quali sono quindi le tempistiche?
Anche per noi esiste un “prima del Covid” e un “dopo il Covid”. Prima della pandemia pensavamo che a dicembre 2025 avremmo finito di smontare il precedente reattore e quindi realizzato la macchina, per cominciare i test a inizio 2026. Oggi stiamo rivalutando i tempi perché il Covid ci ha davvero bloccato: è difficile progettare una macchina del genere non potendosi confrontare giornalmente e di persona con i colleghi. È ragionevole pensare che ci sarà un ritardo di 12-15 mesi.

Abbiamo parlato di un “vecchio” reattore nello stesso posto in cui costruirete il DTT: la scelta di Frascati quindi è legata a questo?
In parte sì, perché possiamo riutilizzare con piccole modifiche alcuni degli spazi già esistenti. Sicuramente ha pesato anche la vicinanza di una comunità scientifica molto importante, perché a Frascati oltre a ENEA c’è l’Istituto nazionale di fisica nucleare, c’è il CNR e c’è l’Università di Tor Vergata, tutti impegnati sul tema della fusione nucleare. L’idea è di trasformare Frascati in una cittadella della fusione, per mettere insieme tutte le forze che tra l’altro sono già socie del consorzio che porterà alla nascita del DTT.

Perché un progetto come questo è importante per il rilancio dell’Italia post-Covid?
Non è solo importante, è fondamentale. Quando ci sono investimenti, l’economia riparte. In una situazione depressa come questa, dopo il Covid ogni iniezione di fondi sul mercato è importante. Tra l’altro i soldi che verranno immessi sul mercato da questo progetto non sono presi da quelli stanziati per la ripresa come Recovery Fund, SURE o PEPP: quindi continueremo investire sul mercato senza intaccare quelle destinate alla pandemia. Compreremo componenti e proprietà intellettuali, e soprattutto daremo lavoro a circa 1500 persone, più l’indotto.

In Italia la ricerca ha bisogno di una valorizzazione maggiore?
Un progetto come questo lo dimostra. Basti pensare che su 600 milioni di costo della macchina, metà sono fondi pubblici: finanziamenti dell’ENEA, del MIUR, del MISE e così via. Per l’altra metà ENEA ha chiesto un prestito: in un paese dove la ricerca ha il posto che le spetta ed è riconosciuta come un valore aggiunto non si sarebbe dovuto chiedere un prestito alla Banca europea per gli investimenti, la BEI. Sarebbero stati tutti soldi pubblici. Abbiamo chiesto questo prestito per due motivi: per la prima volta la BEI ha deciso di finanziare un’istituzione scientifica per fare un’infrastruttura di ricerca. È un caso unico. Il secondo motivo è perché siamo sicuri di non avere problemi con la restituzione del prestito. Crediamo tantissimo in questo impianto, e sappiamo che tutto l’investimento verrà ripagato dai finanziamenti dell’ambito ricerca per quello che vogliamo fare, perché vogliamo aiutare il programma europeo della ricerca sulla fusione.

La fusione è un settore strategico per l’Italia, ma di questo si parla molto poco.
L’Italia ha due eccellenze in ambito fusione: c’è la ricerca dove siamo ai primi posti nel mondo. Nel consorzio Eurofusion siamo main partner, il nostro voto vale cinque punti. L’altra eccellenza è l’industria, che è tra le più grandi al mondo. Tra le dimostrazioni pratiche c’è il miliardo e mezzo di euro che le industrie italiane si sono viste appaltare dall’agenzia che sta costruendo ITER, il grande reattore globale di cui parlavamo all’inizio. Siamo uno dei paesi che ha ricevuto gli appalti più numerosi e più importanti.

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