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Sabato, 20 Aprile 2024
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Oltre la retorica di Giorgia Meloni: la solitudine delle donne madri in Italia

Il pensiero per la Giornata internazionale della donna va a tutte le donne che continuano a diventare madri in un contesto ostile

madre incintaL’8 marzo ricorrono due mesi dalla morte del neonato di soli tre giorni rimasto soffocato nel letto della mamma all’ospedale Sandro Pertini di Roma. Un’amara coincidenza per la Giornata internazionale della donna che non può che farci riflettere sulla condizione delle madri in una capitale come la nostra.  

La tragedia, che ha portato all’apertura di un’inchiesta per omicidio colposo contro ignoti (in cui la madre risulta parte offesa) e la seguente denuncia da parte dei genitori contro l’ospedale, di fatto ha aperto un vaso di Pandora, riportando l’attenzione sulla violenza ostetrica e ginecologica. Argomento che le donne conoscono molto bene e da prima che il Consiglio d’Europa approvasse nel 2019 la Risoluzione (2306/2019) che lo qualifica come violenza contro le donne nel quadro normativo della Convenzione di Istanbul e con la quale si chiede agli Stati membri di garantire una nascita basata sul rispetto della dignità e dei diritti umani della donna

Abusi fisici e verbali, disattenzioni e trascuratezza, violazioni della privacy, atteggiamenti giudicanti sono alcuni dei comportamenti del personale sanitario subiti da molte partorienti e poi raccontati alle altre madri. Negli spogliatoi delle palestre, all’uscita delle scuole dei figli, nelle sale d’attesa dei medici le donne tra loro parlano spesso di queste esperienze. Così come in passato si confessavano stati d’animo e dolori fisici in campagna o davanti ad un camino, tramandandosi l’antica sapienza sulla maternità, certe che solo in quella condivisone avrebbero trovato una necessaria e confortante comprensione alle loro emozioni. Che una neo mamma non vada mai lasciata da sola le donne lo sanno da sempre e per questo si supportano, si consigliano, si aiutano. 

Non deve stupire quindi che la reazione alla tragedia del Pertini sia stata una valanga di ricordi che le donne hanno voluto raccontare come atto di denuncia. La condivisone delle loro storie ha solo fatto un balzo in avanti, uscendo allo scoperto e occupando lo spazio visibile dei social e dei media. Un’ondata di parole femminili che ha travolto e mobilitato l’opinione pubblica sui limiti del rooming in e sulle dinamiche del cosiddetto consenso informato, palesando quanto sia in realtà volutamente poco chiaro. Perché lo sappiamo che l’informazione è potere, potere di decidere cosa sia meglio per sé, senza lasciare che siano gli altri a farlo per noi.

Dopo la raccolta di oltre 100.000 firme lanciata dall’Associazione Mama Chat per contrastare la violenza ostetrica, lo scorso 1 marzo è nato il movimento e il manifesto #ANCHEAME, creato da 14 professioniste, influencer e attiviste, che ambisce ad una proposta di legge che regolamenti gli ambienti dedicati alla maternità, alla genitorialità e alla salute intima.  

La mobilitazione dal basso non poteva che puntare alla politica, la vera assente di questa storia. Mentre da una parte si spronano le giovani donne a fare figli, dall’altra non si sviluppano politiche strutturali a favore della genitorialità e del welfare. In questi ultimi mesi, poi, abbiamo visto porre al centro del dibattito sui diritti femminili l’aborto, contestualizzato come una delle principali cause della denatalità, angolazione che ha spostato l’attenzione dai reali problemi della maternità. 

In una delle sue ultime interviste, la premier Giorgia Meloni ha dichiarato che “a una donna che sta per abortire dico di provare a darsi una possibilità, che non è sola”. Vorremmo tanto crederle, ma purtroppo ad oggi i racconti, i fatti e le denunce delle singole donne e delle associazioni dicono il contrario: che una donna madre in Italia è sola. Culturalmente sola nel vivere la maternità, sottomessa ad un’ideologia che la vede ancora come l’inizio e la fine della cura del proprio figlio o figlia, fulcro della sua crescita e del suo benessere. Una responsabilità che pressa fin dal parto, colpevolizza, produce ansia e inadeguatezza. Un peso non opportunamente condiviso con il resto della società.

Una politica che sia veramente intenzionata a sostenere le donne pone la maternità al centro della sua organizzazione e del suo sviluppo, e si fa carico dei nascituri come figli della collettività. Non bastano gli assegni familiari, i nidi e i congedi parentali, serve liberare la cultura dominante dalla retorica sulla maternità, che di fatto si traduce in abbandono delle donne al loro destino di madri, sensibilizzando tutta la comunità dall’alto delle istituzioni. 

Oggi il mio pensiero per la Giornata internazionale della donna va a tutte le donne che continuano a diventare madri in un contesto ostile.

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