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A Testaccio arriva BÄRAKKÄ: "Una casa costruita con niente, per denunciare l'assenza di politiche abitative"

L'installazione artistica prenderà vita sabato 29 maggio dalle 11 alle 18 al Villaggio Globale di Testaccio. A realizzarla il collettivo La Frangia insieme alla falegnameria sociale K_ALMA

Un'installazione artistica per denunciare l'assenza di politiche sociali e abitative. Si chiama 'BÄRAKKÄ UNA CASA CON NIENTE' e prenderà vita sabato 29 maggio, dalle 11 alle 18, al Villaggio Globale di Testaccio. A realizzarla il collettivo La Frangia insieme alla falegnameria sociale K_ALMA. L'installazione sarà una "denuncia fisica delle politiche in atto che ridistribuiscono ricchezza e opportunità̀ verso l’alto scaricando costi sociali e ambientali verso il basso", si legge nella nota di lancio. 

“BÄRAKKÄ nasce da una lunga esperienza tra i lavoratori agricoli stagionali che vivono nei ghetti del sud Italia per denunciarne le vergognose condizioni di vita e di lavoro”, spiega Giulia Anita Bari, Presidente de La Frangia. “BÄRAKKÄ è un’installazione fisica ma anche un manuale di istruzioni, un pieghevole illustrato come quelli del colosso dei mobili seriali IKEA, un dispositivo artistico distopico per riportare al centro il tema delle politiche sociali e abitative su cui le amministrazioni locali e nazionali sono gravemente assenti”. 

Le istruzioni di BÄRAKKÄ

“Roma è la capitale della precarietà abitativa, dove la mancanza di politiche abitative strutturali e il rincorrere delle cosiddette 'emergenze' priva da decenni gli abitanti del diritto alla casa”, spiega Silvia Paoluzzi dell’Unione Inquilini. “Una città ai cui margini vivono centinaia di persone in alloggi provvisori, le baracche, la cui esistenza viene raccontata nelle operazioni di decoro dell'Ama, che sono però sgomberi reali di persone mai censite dalle amministrazioni”.  

BÄRAKKÄ è la casa dei working poor, cioè di coloro che oggi, sempre più numerosi, vivono una condizione di povertà pur lavorando. Una casa precaria, di cartone, quella dei contratti a chiamata, dei contributi non versati, del sottocosto che impone competizione tra braccia diverse e monocultura. A questi si aggiungono le migliaia di famiglie, lavoratori precari, disoccupati, inoccupati che in questi ultimi anni hanno perso o lasceranno la propria abitazione. Capanne, tende, abitazioni di terra e pietra, cartoni, plastica. La casa che non c’è, nonostante in Italia siano 18 miliardi i metri cubi edificati a fronte di un fabbisogno aggregato pari ad un terzo di quello costruito. Nella sola Roma, sono 14mila le famiglie in attesa di una casa popolare.

“Il Dipartimento politiche abitative è impantanato nella burocrazia e nella penuria di personale mancando anche nell'assolvere  ai servizi primari, come l'erogazione dei contributi affitto, dei buoni casa, dell'assegnazione delle case popolari in disponibilità - continua Paoluzzi - Una condizione aggravata ulteriormente dalla crisi economica che rischia di precipitare con la ripresa degli sfratti dal primo luglio e dei licenziamenti. Il Governo rimane cieco e sordo alle reali necessità delle persone per le quali manca, anche nel PNRR, un piano casa che possa restituire un diritto negato che va ripristinato con il recupero degli edifici pubblici e privati in abbandono da destinare alle famiglie che attendono da anni una casa popolare”.

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