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Attualità Casal Boccone

Il cortocircuito delle affrancazioni: la pratica lumaca blocca il risarcimento al proprietario

Antonio (nome di fantasia) ha acquistato a prezzo libero in un piano di zona, quindi con vincolo di cessione. Quando ha intentato causa per il risarcimento, la venditrice ha iniziato la pratica per l'affrancazione e il tribunale ha bloccato tutto

Quando, nel maggio 2015, Antonio (nome di fantasia) ha deciso di acquistare una casa, non poteva minimamente immaginare a cosa stava andando incontro, in quale tunnel burocratico si stava volontariamente incamminando. Una compravendita da 550.000 euro a Casal Boccone, piano di zona 14 nel III Municipio, si è trasformata in un incubo.

Un immobile acquistato a caro prezzo in un piano di zona

L'immobile, 130 metri quadri su due piani con box e posto auto scoperto in una delle strade principali del quartiere, doveva essere un regalo per il figlio ingegnere, un premio per l'eccellente percorso di studi. Un regalo forse un po' caro, visti gli oltre 4.000 euro a mq in una zona periferica e lontana dalla metropolitana, ma non è questo il fulcro della storia. Di lì a poco, infatti, la situazione familiare e anche quella normativa sul mercato immobiliare romano sarebbero cambiate drasticamente. Sul primo fronte, il giovane due mesi dopo l'atto di acquisto ottiene un impiego dall'altra parte del mondo, in Sud America, dove tuttora risiede. Sul secondo, a settembre 2015 la Corte di Cassazione a Sezioni Unite posa una pietra miliare in quello che è il caos relativo ai vincoli di prezzo massimo per gli immobili costruiti nei piani di zona: tale vincolo non si estingue se non con il pagamento di un indennizzo, trascorsi 5 anni dal primo acquisto, quindi dal primo passaggio di proprietà che sostanzialmente è tra la cooperativa edile che ha realizzato l'immobile e il primo abitante. Entrano dunque in gioco le affrancazioni

La causa iniziata nel 2017 per ottenere il risarcimento

Antonio, 69 anni, ex ufficiale dell'Aeronautica militare e per quarant'anni controllore di volo, a maggio 2015 mentre firma il rogito davanti ad un notaio e alla venditrice, non sa che sull'appartamento pende un vincolo. Il valore reale della casa sarebbe poco superiore ai 172.000 euro, lui ne paga quasi 380.000 in più. "L'ex proprietaria si è da subito rifiutata di pagare l'affrancazione - spiega a RomaToday - perché sosteneva spettasse solo a me. Ho tentato di tutto, anche proponendo quattro mediazioni, senza successo. Quindi, per vedere tutelati i miei diritti, ho intentato una causa, era il 2017". A quel punto la controparte, vista anche la novità della legge 136 del 2018, presenta al dipartimento urbanistica un'istanza di affrancazione ordinaria. E questo è un particolare da tenere a mente.

La pratica lumaca rende improcedibile la causa

"Era il 2019 - continua il pensionato - e la legge uscita poco prima, che non fa per nulla chiarezza sul tema perché non specifica le tempistiche entro le quali si dovrebbe ottenere l'affrancazione, ha dato modo alla controparte di rendere improcedibile la mia causa. Infatti a dicembre 2021 il tribunale civile ha emesso una sentenza che, pur riconoscendo che la vendita è stata effettuata ignorando il vincolo di prezzo massimo, mi impedisce di rivendicare il risarcimento della differenza di prezzo". E infatti la legge 136 ad un certo punto dice: "L'eventuale pretesa di rimborso della differenza - citiamo il testo - a qualunque titolo richiesto, si estingue con la rimozione dei vincoli". Antonio vorrebbe vedere rimosso il vincolo dall'immobile di cui il figlio è proprietario, per poterlo rimettere sul mercato a prezzo libero o eventualmente locarlo. "Ma non posso farlo - ribadisce - e questo per me è un danno economico". 

La beffa della sentenza che gli dà ragione ma anche torto

La sentenza del 21 dicembre 2021 nel dispositivo finale dichiara nullo l'articolo 4 dell'atto di compravendita dell'immobile di Casal Boccone, quindi quello che stabilisce il prezzo di vendita in 550.000 euro, sostituendolo con il prezzo massimo di cessione, ovvero poco più di 172.000 euro, ma allo stesso tempo rende improcedibile la richiesta di risarcimento avanzata dall'attuale proprietario, perché nel frattempo l'ex proprietaria ha inoltrato la domanda d'affrancazione. "Ho speso migliaia di euro di avvocati - continua - e trascorso mesi nelle aule di tribunale, per non poter vedere riconosciuti i miei diritti". 

I tempi biblici del comune: "Devo aspettare ancora 2 o 3 anni?"

Il problema è la conclamata lentezza degli uffici comunali nello sbrigare le pratiche, ed è qui che si sottolinea l'importanza della differenza che c'è tra un'istanza ordinaria e una semplificata o una cosiddetta urgentata. Nel primo caso, infatti, le tempistiche sono bibliche con determine consegnate agli interessati anche dopo 4 o 5 anni: "Così io dovrei aspettare il 2024 o il 2025 - continua il 69enne - per vedere rimosso il vincolo dall'appartamento? Perché la venditrice non trasforma l'istanza ordinaria in semplificata, riducendo sensibilmente l'iter?". Allo stato attuale, un'istanza di affrancazione in forma semplificata viene lavorata in circa 10 mesi. Sempre troppi, considerato che la legge imporrebbe 90 giorni all'amministrazione, ma comunque molto inferiori. 

"Non posso neanche chiedere a che punto è la pratica su casa mia"

"Quello che sta succedendo è discriminatorio nei confronti degli acquirenti - denuncia Antonio - perché tutto quello che è stato fatto negli ultimi anni è andato a favore dei venditori. Il comune dovrebbe pensare a tutti i cittadini e se anche uno solo subisce dei danni devono essere adottati de correttivi. Ad oggi con l'introduzione della pratica urgentata e con la possibilità di trasformare un'ordinaria in semplificata, si dà la possibilità di regolarizzare la posizione a tutti coloro che hanno venduto casa prima della sentenza della Cassazione del 2015, abbreviando i tempi altrimenti lunghissimi e poi a tutti i proprietari di casa, che vorrebbero venderla, di farlo in tempi brevi. Se invece hai acquistato casa e il venditore non paga lo svincolo, facendolo solo con istanza ordinaria per rendere improcedibile una causa, non hai modo di fare nulla, nemmeno di chiedere informazioni al comune sullo stato della pratica, nonostante si tratti di un immobile di tua proprietà, con i tuoi dati all'interno".

"Non mi sento truffato"

Nonostante tutto ciò, Antonio non si sente di definirsi truffato: "No, non è così - risponde - perché la prassi a quei tempi era consolidata. Tutti vendevano e affittavano secondo i valori di mercato. Anche perché il comune, prima della sentenza del 2015, produceva svariati nulla osta ai venditori, liberandoli dall'obbligo dell'affrancazione". Questione che RomaToday ha raccontato nel recente passato, ascoltando la storia di Evelin Cucci, nel mezzo di un contenzioso con la persona che nel 2015 ha acquistato il suo appartamento. 

Il nulla osta del comune

Cosa che è accaduta anche nella storia che raccontiamo: nel 2013, due anni prima della compravendita, il dipartimento urbanistica, con firma della dirigente - oggi in pensione - Carla Caprioli, dava l'ok all'allora proprietaria dell'immobile di Casal Boccone a procedere alla vendita senza presso massimo. E' da quelle trenta righe scarse timbrate da Roma Capitale che è iniziato tutto, non solo per Antonio.

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