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Green Pass, dopo le proteste di bar e ristoranti il Ministero chiarisce: "Controllo documenti facoltativo"

Una circolare del ministero dell'Interno aggiusta il tiro sugli obblighi cui devono sottostare gli esercenti per accogliere i clienti: la certificazione va controllata, ma il documento non va richiesto sempre. Aumentano intanto i controlli

L’obbligo di controllare il Green Pass resta, ma quello di controllare anche i documenti per verificare che l’attestazione appartenga proprio a chi la presenta decade. È questo, in sintesi, il contenuto della circolare che il ministero dell’Interno ha diffuso per chiarire alcuni aspetti in merito ai controlli sulla certificazione covid, in particolare per quello che riguarda i titolari delle attività che per l’accesso la richiedono.

Già prima del 6 agosto, giorno in cui è stato esteso l’obbligo di Green Pass, i titolari di bar e ristoranti della Capitale erano saliti sulle barricate: “Siamo pronti sul Green Pass, ma non a controllare i documenti di identità, non siamo pubblici ufficiali”, avevano sottolineato la Fipe Roma, puntando il dito contro quella che a oggi viene identificata come una “doppia verifica”.

Prima dei chiarimenti della circolare, infatti, era di fatto obbligatorio per i titolari degli esercizi pubblici chiedere ai clienti sia il Green Pass (da controllare con l’app Verifica C19) sia il documento per accertarsi che i dati della certificazione coincidessero. Il ministero ha invece chiarito che la richiesta del documento è compito in primis delle forze dell’ordine, e che per gli esercenti è  facoltativa, ma che diventa necessaria “quando appaia manifesta l’incongruenza dei dati anagrafici”. E dunque se, per esempio, la data di nascita indicata sul certificato non corrisponde in modo evidente all’età di chi lo presenta, o in caso di altri elementi che portano indiscutibilmente a supporre che il Green Pass non appartiene a chi lo sta mostrando. 

Non solo: gli esercenti questionavano anche la parte relativa alle sanzioni, visto che nel decreto si sottolineava che “in caso di violazione può essere elevata una sanzione pecuniaria da 400 a 1000 euro, sia a carico dell’esercente sia dell’utente. Qualora la violazione fosse ripetuta per tre volte in tre giorni diversi, l’esercizio potrebbe essere chiuso da 1 a 10 giorni”. Anche in questo caso la circolare chiarisce: in caso di tentativi di frode sul Green Pass verrà multato solo il cliente, a meno che non siano riscontrabili “palesi responsabilità anche a carico dell’esercente”.

Da quasi una settimana ormai su gran parte dei pubblici esercizi della Capitale che hanno posti a sedere al chiuso sono comparsi cartelli che invitano la clientela a esibire il Green Pass per garantire l’accesso. Lunghe le file nelle farmacie per chiedere di scaricare la certificazione o di poter fare un tampone, complice anche l’attacco hacker che ha paralizzato i sistemi informatici della Regione Lazio e che ha costretto moltissimi cittadini a rivolgersi proprio alle farmacie per fare un tampone o per ottenere la certificazione.

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La mappa delle attività "No Pass"

Aumentati, inevitabilmente, anche i controlli, che si sono concentrati soprattutto nelle zone della movida: Trastevere, Monti, Pigneto, San Lorenzo, Ponte Milvio, Eur. E sui social, tra i cosiddetti gruppi "No Pass", continua a rimbalzare il link della mappa di Google "Aperti e Liberi", in cui sono inserite le attività che non chiedono il Green Pass all'ingresso sfidando il decreto: "Attività che obbediscono alla Costituzione esercitando il proprio diritto al lavoro e che non accettano limitazioni non giustificate", si legge nella presentazione della mappa.

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