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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Senza casa né stipendio: il dramma di Rita, cuoca nelle scuole comunali chiuse dal Coronavirus

Intervistata da Romatoday per il suo disagio abitativo, da due mesi non percepisce lo stipendio

Quando ha dovuto sollevare la cornetta per chiedere alla Protezione civile un pacco alimentare Rita racconta di aver sentito un nodo alla gola. “Poi mi sono fatta coraggio, non avevo alternative”. Rita è una delle 2mila cuoche e addette alle mense delle scuole del Comune di Roma che dal 5 marzo scorso non ricevono lo stipendio. Non solo. Fa parte anche delle oltre 13mila famiglie in graduatoria per una casa popolare. Romatoday aveva raccontato la sua storia nell’ottobre del 2019 quando, poco dopo lo sfratto dei figli che abitavano con il padre, ha voluto raccontare l’odissea di una vita senza casa, appoggiata di volta in volta da amici e parenti. Tra le mani un ritaglio di giornale del 1993 con la sua foto: era già in emergenza abitativa allora. Oggi i suoi documenti alla voce ‘indirizzo’ riportano ‘via Modesta Valenti’, la residenza fittizia che viene riconosciuta ai senza tetto. Il contratto da tre ore giornaliere come cuoca nelle mense delle scuole comunali non le è mai bastato per trovare un appartamento in affitto.

Qualche mese fa non le sembrava possibile che le cose potessero andare peggio eppure, oggi, sente che tutto sta precipitando. “Il 5 marzo scorso è stata decisa la sospensione del servizio mensa a causa del Coronavirus. Da allora né io né nessuna delle mie colleghe percepiamo lo stipendio. Moltissime di noi non sanno più come andare avanti”. Impegnate da anni in un servizio essenziale per l’amministrazione comunale, le cuoche sono dipendenti di società esterne (fino al cambio appalto di pochi mesi fa della Roma Multiservizi, controllata da Ama) e nell’emergenza sono rimaste senza paracadute.

L’attesa è tutta per il cosiddetto Fis, il Fondo di integrazione salariale. “Nessuno sa dirci quando arriverà, è tutto nelle mani dell’Inps. In ogni caso, con contratti di tre ore giornaliere e un conteggio all’80 per cento, incasseremo davvero poco. Quando facciamo gli straordinari lo stipendio può arrivare intorno ai mille euro, a volte anche qualcosa di più. Ma la paga base è molto più bassa”.

26 anni in attesa di una casa popolare: l'odissea di Rita

I buoni pasto non sono arrivati anche se nei prossimi giorni, tramite i servizi sociali che la seguono da anni, dovrebbe ricevere il contributo, previsto da una delibera del 1997, che una tantum il Comune riconosce alle persone e alle famiglie in difficoltà economica. “Mi è arrivata la comunicazione proprio ieri però non so né quanto sia l’importo né quando arriverà”. Aver diritto a questo contributo, inoltre, fa slittare Rita in fondo alla lista degli assegnatari dei buoni pasto insieme a quanti percepiscono il reddito di cittadinanza, la cassa integrazione o la Naspi. “Intanto l’altro giorno mi sono rivolta alla Protezione civile che dall’inizio dell’emergenza mi ha consegnato due pacchi di cibo. E' stato bruttissimo, non vedo più un futuro davanti a me”.

Tutto questo per Rita si è aggiunto alla difficoltà di non avere una casa. “L’ultima volta ho fatto domanda nel 2012. Ma ho solo 25 punti perché, nonostante ho la residenza in via Modesta Valenti non riesco proprio a farmi riconoscere dagli uffici del dipartimento Politiche abitative del Comune i 17 punti che dovrebbero essere riconosciuti a chi è in emergenza abitativa. Così non ce la farò la mai”. Rita a volte si appoggia a casa della madre, “dove già vive anche mia sorella con la famiglia e siamo davvero stretti”. Altre volte chiede ospitalità agli amici. "Capita anche di restare per strada per strada".

Con una vita tra il Trullo e Corviale, dove lavora, nel suo tragitto vede spesso quelle case popolari che aspetta da tanto tempo. “Tutti sanno che molti di questi appartamenti sono vuoti. A vedere quelle finestre chiuse mi si stringe la gola. Mi basterebbero una camera e una cucina per recuperare un po’ di serenità”. Ora si aggiunge anche la “disperazione”, ripete più volte questa parola, di non avere più alcuna entrata: “Vorrei dire alla sindaca Raggi che ci hanno abbandonato. Prima per la casa e ora anche per il lavoro”. 
 

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