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Coronavirus Roma, a Rebibbia 5 positivi tra personale e detenute. Il sindacato: "Vogliamo test a tappeto"

"Chiediamo che tutto il personale di Polizia Penitenziaria in servizio, il personale civile e sanitario, sia sottoposto a test sierologico o tampone". Da quanto appreso, risultano essere state contagiate 2 agenti penitenziari, 2 detenute ed un infermiere

Il coronavirus torna nella sezione femminile del carcere di Rebibbia. Dopo il contagio di due detenute all'inizio della pandemia, il virus è tornato a diffondersi sempre nella stessa ala del carcere. Da quanto appreso, risultano essere state contagiate due agenti penitenziari, due detenute ed un infermiere. Le detenute si trovano ora in isolamento nel reparto Covid, i due agenti e l'infermiere si trovano a casa in isolamento fiduciario. 

A dare la notizia è Aldo Di Giacomo, Segretario Generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria 'S.PP.' e Gina Rescigno Segretaria Generale Aggiunta e responsabile sindacale nazionale 'S.PP.' del comparto Polizia Penitenziaria femminile, i quali, all'unisono dichiarano: "Nonostante siano passati mesi da quanto è esplosa la pandemia da COVID-19, sembra che il sistema penitenziario ancora non abbia ben compreso la gravità e continua imperterrito a commettere gravi errori di gestione del personale, delle persone detenute e di tutti coloro che a vario titolo accedono nelle strutture penitenziarie, permettendo al virus di diffondersi, con nefaste conseguenze per la gestione delle strutture carcerarie del Paese. Ancora si continua a non adottare le dovute precauzioni finalizzate ad impedire che, il personale di Polizia, il personale civile, i medici e gli infermieri che abbiano avuto contatti con persone infette o potenzialmente infette da COVID-19 non vengano impiegate in servizio in attesa dell’esito dei tamponi, questo è quello che sembra essere accaduto a Roma Rebibbia Femminile".

"È impensabile poter accettare che si permetta a persone che hanno avuto un sicuro contatto con altri individui risultati affetti da COVID-19 di poter continuare a svolgere la propria attività come se nulla fosse, anzi costringendoli a lavorare e trasformarli in untori di manzoniana memoria. Dalle fonti a noi accessibili, sembrerebbe addirittura che all'interno della struttura penitenziaria in argomento, così come in molte altre strutture penitenziarie del Paese, ancora oggi, in moti casi, vi sia un uso dei DPI non propriamente rispondente a quelle che sono le reali esigenze finalizzate a prevenire e contrastare il propagarsi dei contagi, questo perché non è presente una reale linea di condotta comune e coordinata", dicono ancora.

In merito a questi ultimi casi di contagio da COVID-19, avvenuti nel carcere romano di Rebibbia Femminile, Di Giacomo e Rescigno auspicano che il Ministro della Giustizia Bonafede ed il Capo del Dap Petralia "vogliano disporre immediate ed approfondite verifiche finalizzate ad accertare eventuali responsabilità in ordine ad errate prassi adottate o permesse o alla mancata predisposizione di idonee misure atte a garantire la prevenzione ed il contenimento dei contagi. Chiediamo, inoltre, a gran voce che tutto il personale di Polizia Penitenziaria in servizio preso la Struttura di Rebibbia Femminile, così come il personale civile e sanitario, sia sottoposto a test sierologico o tampone, stessa cosa per le detenute presenti".

I due, infine, rivolgono "un accorato appello a tutti i Dirigenti Penitenziari affinché capiscano o si mettano nelle condizioni di capire che la tutela della salute dei propri dipendenti, così come quella delle persone detenute a loro affidate, è il primario obbiettivo da perseguire e garantire e che costringere delle persone a lavorare in condizioni di precarietà o insicurezza sanitaria è un atto criminale che va perseguito e condannato in ogni sede e con ogni mezzo".

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