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Venerdì, 19 Aprile 2024
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Medici di base in prima linea, il racconto: "Al fronte con mascherine comprate dal ferramenta"

A RomaToday parla la dottoressa Cristina Patrizi, tra i 4mila medici di famiglia presenti a Roma. "Lazio attivi Unità di supporto alla sanità territoriale"

Visita casi di sospetta infezione da coronavirus con mascherine, occhiali e guanti che ha comprato di tasca sua prima che scoppiasse la pandemia. Era fine febbraio. Ora le scorte stanno finendo. Si veste con la stessa tuta protettiva di chi lavora in corsia ma è costretta a farlo in macchina, in ascensore, nei cortili condominiali, in mezzo alla strada. Sempre con il terrore di mettere in pericolo i suoi cari quando rientra a casa. È un medico di famiglia Cristina Patrizi, tra i 4mila presenti a Roma, primo anello della catena di cura e presa in carico dei malati di coronavirus, troppo spesso lasciati soli nelle prime fasi di gestione dell'emergenza. 

Dalle visite a casa alle segnalazioni alla Asl

Nel suo studio a largo Preneste ora sta visitando solo i pazienti urgenti, non covid, presi rigorosamente su appuntamento. Per i sospetti contagiati dal virus invece cerca di valutare la sintomatologia tramite le videochiamate su whatsapp, per ridurre i contatti, ma spesso è costretta comunque a effettuare visite domiciliari. "Mi telefonano spiegandomi cosa si sentono, febbre, tosse, sintomi influenzali - racconta a RomaToday - se la valutazione è quella di un possibile contagio devo segnalarli alla Asl" . L'allerta avviene tramite mail al Sisp, Servizio di igiene e sanità pubblica afferente al dipartimento di Prevenzione della Asl di riferimento, nel suo caso la Roma 2, che poi valuta se procedere o no con i tamponi e in caso di positività per un ricovero. Ma i contatti con il personale delle aziende sanitarie non è semplice. 

"Mascherine comprate di tasca mia a febbraio"

"Ne ho segnalati 16 da inizio emergenza, 16 che per me erano sospetti, ma nessuno li ha presi in carico, non ho ricevuto risposta. Il sistema è chiaramente sovraccarico". Di questi, racconta Patrizi, c'è chi aveva difficoltà respiratorie e febbre persistente, e anche chi aveva avuto contatti con persone nel nord d'Italia. Li ha seguiti comunque da sola, passo passo, alternando le video telefonate alle visite domiciliari. "Penso a una paziente che ho visto a casa prima il 9 e poi il 19 marzo, era entrata in contatto a fine febbraio con persone di Milano. Aveva febbre e tosse". 

Gran parte di loro sta meglio, qualcuno è già guarito, non c'è certezza che fossero covid positivi. Ma nessuno ha garantito la sicurezza del medico che se ne è occupato. "Mi sono ritrovata spesso a mettermi e togliermi la tuta in strada, al portone prima di entrare dal paziente, perché da protocollo va utilizzata solo nel tempo di visita. Ora me ne è rimasta solo una. A fine febbraio sono andata dal ferramenta e ho comprato tutto, mascherine, guanti, sia per me che per la mia segretaria. Nessuno poi ci ha rifornito" racconta ancora. Perché se adesso ha ridotto l'attività dello studio ai soli casi di urgenza, fino a metà marzo il via vai di pazienti è stato inevitabile: le ricette per i medicinali on line, con numero da inviare via mail o via whatsapp, sono scattate solo il 20 marzo. Prima non si potevano che fornire cartacee, a mano, com'è sempre stato. E il contatto con i malati, di coronavirus o no, già rendeva necessaria una protezione.  

"Lazio attivi le Unità di supporto a medici di base"

In queste ore la regione Lazio ha annunciato un nuovo carico di mascherine e dispositivi di prevenzione che arriveranno, è la promessa, a tutti i medici di base. Ma non basta. "Servono più contatti delle aziende sanitarie con i medici di base, non abbiamo sufficienti punti di riferimento. Se poi sono positivi in isolamento non abbiamo un protocollo su quali farmaci utilizzare. Chiediamo che vengano attivate al più presto le Usca (Unità speciali di continuità assistenziale, ndr) sono previste dal decreto del 9 marzo" spiega Patrizi, anche referente regionale della medicina convenzionata dello Smi, Sindacato medici italiani. 

Il riferimento è alle Unità di supporto all'attività medica del territorio, formate da personale qualificato, dotato di tutti gli strumenti di prevenzione del caso, che si dovrebbe occupare della gestione domiciliare dei pazienti positivi o sospetti, sempre su indicazione diretta dei medici e pediatri di famiglia. Molte regioni le hanno fatte partire in questi giorni. Ulteriori anelli di raccordo con l'azienda sanitaria, pensati per supportare i medici di base e alleggerire le strutture ospedaliere. "È questa la vera sfida al virus, potenziare l'assistenza domiciliare, solo così possiamo essere certi che il sistema sanitario regga davvero".   

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