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Così Roma e la sua comunità ebraica ricordano l'attentato alla Sinagoga di 40 anni fa

Al Tempio Maggiore presenti Sergio Mattarella, Ruth Dureghello, Riccardo Di Segni, Nicola Zingaretti, Roberto Gualtieri e Matteo Piantedosi

Una cerimonia che è anche una festa. Quella di oggi, 9 ottobre, è una giornata dalla doppia valenza davanti al Tempio Maggiore di Roma, luogo di culto per la comunità ebraica capitolina ma anche di dolore. Quarant'anni fa un attentato terroristico di matrice palestinese strappava all'affetto dei suoi cari il piccolo Stefano Gaj Tachè, 2 anni. 

La donazione del Sefer Torà in memoria del piccolo Stefano Gaj Tachè

La domenica è iniziata con la donazione del Sefer Torà, il rotolo della Torah, dedicato alla memoria di Stefano. Alla commemorazione hanno preso parte il presidente della Repubblica Sergio Mattarella - accolto da un lungo applauso al suo arrivo - , la presidente della comunità ebraica Ruth Dureghello, il rabbino capo Riccardo Di Segni, il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il prefetto Matteo Piantedosi.

Dureghello: "Chiediamo verità, si svelino l'ipocrisia e l'omertà"

"Da questo luogo chiediamo verità, perché è necessario che quel velo d'ipocrisia e omertà che rese possibile che un comando terroristico agisse indisturbato nel pieno centro di Roma venga finalmente svelato". A dichiararlo, durante il suo discorso, Rith Dureghello. "Da quel giorno di quaranta anni fa sono tante le cose successe - ha ricordato - . Se però siamo ancora qui è perché oltre al dolore che è ancora vivo, auspichiamo che finalmente possa esserci verità storica e processuale. Non per vendetta, ma per giustizia". In seguito all'attentato, infatti, venne arrestato un solo uomo, appartenente al gruppo Al Fatah di Abu Nidal. Osama Abdel Al Zomar non fece un solo giorno di carcere in Italia, nonostante la condanna in contumacia emessa dalla Corte d'Appello: dopo un breve periodo di reclusione in Grecia per traffico d'armi, fuggì in Libia facendo perdere le sue tracce. 

"Dopo quell'episodio nulla fu più come prima"

"Può sembrare complicato capire come si possa conciliare un momento di gioia, la donazione di Sefer Torà, con il dolore, la rabbia e il senso di ingiustizia che rappresenta per noi il 9 ottobre 1982 - ha spiegato Dureghello - . In questa ora di 40 anni fa la violenza del commando palestinese colpiva questa comunità in festa, nel giorno in cui era prevista la benedizione del bambini. Il bilancio fu di 40 feriti e un morto, Stefano, un bambino italiano. Quel giorno cambio la vita di tante persone, della famiglia di Stefano, dei feriti e di questa comunità, che comprese che nulla sarebbe più stato come prima. Quell'attentato non fu un episodio isolato, ma il culmine di una campagna d'odio con responsabilità ancora da chiarire, ma in cui apparve subito chiaro ciò che non si voleva ammettere: l'antisemitismo aveva colpito ancora e si era insidiato pericolosamente dietro all'odio contro lo Stato d'Israele". 

"Grazie Mattarella per la sua vicinanza"

La presidente della comunità si è poi rivolta al Capo di Stato: "La sua presenza qui oggi, signor Presidente - ha detto - rappresenta un ulteriore tassello di vicinanza e amicizia, ma soprattutto la rivendicazione di quel messaggio che sin dal giorno del suo insediamento ha voluto far suo. Noi siamo italiani, orgogliosamente e anche se qualcuno in passato non ci ha considerato tali, noi continueremo con questo spirito a vivere a contribuire per il bene di questo Paese. Grazie Presidente. Se per tanto tempo ci siamo sentiti soli, la sua presenza qui oggi invece ci fa comprendere che non lo siamo più e di questo gliene siamo grati".

Di Segni: "Quarant'anni fa Pertini scoppiò a piangere, speriamo non capiti più"

"Il giorno dei funerali del piccolo Stefano ero con altri rabbini nella camera mortuaria davanti alla bara bianca, quando arrivò il presidente Pertini che scoppiò in un pianto a dirotto". Il rabbino capo Riccardo di Segni ricorda questo drammatico momento, rivolgendosi a Mattarella nel suo discorso durante la commemorazione. "Questa è una casa di preghiera e desidero esprimere una preghiera in cui tutti ci identifichiamo - ha proseguito - . Che il presidente della Repubblica non debba più piangere per una giovane vita spezzata. Che il presidente possa invece poter piangere di gioia o sorridere vedendo bambini come quelli che l'hanno accolto qui con calore, bambini che crescono serenamente, educati su valori positivi, speranza per il nostro futuro". 

Il ricordo di Sandro Di Castro

Alla cerimonia ha partecipato anche la famiglia Taché: la madre, il padre e il fratello del piccolo Stefano e Sami Modiano, sopravvissuto al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, che ha avuto un dialogo con il presidente Mattarella. "L'azione durò poco più di un minuto - ricorda fuori dalla sinagoga Sandro Di Castro, che quella mattina era presente, come riporta l'agenzia Dire - io avevo appena 22 anni. Ricordo il lamento delle persone, e poi un silenzio senza fine. Restano degli interrogativi da chiarire: perchè quella mattina non c'era nessun poliziotto, non c'era sicurezza?". 

Le dichiarazioni e il ricordo delle istituzioni

"Un evento drammatico, un attentato terroristico con la morte di un bambino - è stato l'intervento di Nicola Zingaretti, presidente uscente della Regione Lazio -. Ma la volontà della comunità di proiettarlo verso il futuro senza più vittime, è stato un bellissimo messaggio. Riguarda la comunità ebraica, ma riguarda tutti noi. E trovo anche condivisibile la richiesta di verità e giustizia". "Quarant'anni fa una ferita indelebile per Roma e la Comunità Ebraica - il tweet del vicepresidente Daniele Leodori -. L'attentato alla Sinagoga dove perse la vita Stefano Gaj Taché, un bambino di soli due anni. Un giorno che non vogliamo e non possiamo dimenticare". 

“Ricorrono oggi i quaranta anni dall'attentato compiuto da un commando palestinese contro la Sinagoga di Roma durante la celebrazione religiosa di Shemini 'Atzeret - ha scritto in una nota Giorgia Meloni, presidente di Fratelli d'Italia e probabile prossima Presidente del Consiglio -. In quel giorno, così atroce e indelebile per l’Italia intera, perse la vita Stefano Gaj Tachè e rimasero ferite quaranta persone. Un dolore che ci portiamo dentro perché Stefano, un bambino di soli due anni, poteva essere nipote, figlio o fratello di ognuno di noi. Il nostro impegno a non dimenticare ma anche a cercare la verità”.

"Quarant'anni fa un commando di terroristi palestinesi profanò la Sinagoga di Roma, gremita di bambini, in un giorno di festa. La preghiera fu dilaniata dall'esplosione di bombe e colpi di mitra sulla folla. Tra decine di feriti gravi, si spense una piccola vita di soli due anni: Stefano Gaj Taché. Quel giorno resterà per sempre una ferita nel cuore di Roma e dell'Italia, come ci ricorda questa mattina la presenza del Presidente Mattarella in visita alla Comunità Ebraica". La Polizia di Stato lo scrive su Facebook.


 

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