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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Santa Maria della Pietà: ecco come si viveva nel manicomio

Riportiamo alcuni brani a firma di Giovanna D'Annibale, Presidente dell'Associazione Lucchina e Ottavia, estratti da un suo articolo pubblicato dalla rivista "Monte Mario". Attraverso la sua penna, rivivono così alcuni "Squarci di vita a Santa Maria della Pietà"

Riportiamo di seguito alcuni brani di un interessante articolo firmato dalla Presidente dell'Associazione Lucchina e Ottavia Giovanna D'Annibale e pubblicato sul mensile "Monte Mario" Anno XLV maggio 2013, nonchè sul sito dell'associazione stessa. Tra le righe, una interessante finestra sulla vita quotidiana di qualche decennio fa, l'ex manicomio provinciale era un crocevia di storie, incontri ma anche di grande sofferenza.

"I bambini del Padiglione 90 (...) quelli che, costretti da istituzioni e povere famiglie, si aggiravano al di là di una ferma recinzione gridando nei giardini circostanti di un triste padiglione dell'Ospedale Psichiatrico del S. Maria della Pietà. (...) Tante manine aggrappate alla rete, ne agitavano la ferrea struttura facendola tremare; figure di coetanei si rivolgevano a noi che, sconcertati ed improvvisamente prudenti nell'avvicinarci a loro, verificavamo che solo le loro voci, urlate nell'aria, potevano raggiungerei ed unirsi ai nostri giochi nel mondo libero. I bambini del 90 quanti di loro hanno poi subito la "cura" terribile dell' elettroshock? 

(...) Le "Sorelle dei Poveri" era l'ordine di suore, con casa madre a Siena, a cui erano affidati cura e gestione dei padiglioni in cui dimoravano, in regime di semi reclusione, i malati dell'Ospedale psichiatrico S. Maria della Pietà. Suore e "malatine" (questo termine voleva essere un'affettuosa definizione delle peculiari condizioni di salute psichica delle loro assistite nel nosocornio, usato spesso dalle stesse suore) passano spesso momenti di attività manuale e ricreativa insieme. (...) Erano grandi la cura e l'affetto che le suore responsabili dedicavano ai loro assistiti e all'organizzazione dei padiglioni, una vera missione di vita.

C'era poi la tipografia, che si trovava nel padiglione 32, in cui operai specializzati lavoravano assieme ai malati in grado di apprendere il mestiere e prestarsi nell'operatività produttiva della struttura ospedaliera che, grazie al lavoro di tutti, si autososteneva con molte attività svolte all'interno. Poche parole e alcune immagini per documentare momenti di vita e di ordinaria quotidianità, spesso condita e allarmata da improvvise, prolungate urla provenienti dall'interno di quelle orribili finestre dalle quali, aggrappate a fitte sbarre di ferro, mani disperate si agitavano e volti sofferenti esprimevano il vuoto delle loro menti e dei loro
cuori sconvolti. 

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