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Derby delle barriere, intervista a Francesca Turco: "Si gioca per i tifosi, senza loro non c'è calcio"

La speaker di Radio Incontro Olympia, conduttrice di Diario di bordocampo, analizza il momento della tifoseria biancoceleste: "C'è bisogno di un tavolo di confronto tra organi di controllo e ultras. Le barriere sono una ferita al cuore della Curva"

Sarà la Lazio ad ospitare il derby della Capitale numero 165, una partita che una volta valeva una stagione, con le due squadre della Città Eterna divenute famose in tutto il mondo più che per i loro risultati sportivi per lo spettacolo coreografico e scenografico con cui la Curva Sud e la Curva Nord giocavano un derby nel derby

Sponda biancoceleste del Tevere, Francesca Turco, speaker radiofonica del "Diario di bordocampo" sulle frequenze di Radio Incontro Olympia, spiega come "in casa Lazio si respiri una carica speciale, un clima euforico”, in una stagione "cominciata tra scetticismo e scoramento soprattutto alla luce del caso Bielsa e della cessione di Candreva". Ma se il precampionato non presagiva rose e fiori, l'ambiente ha trovato un tecnico, Inzaghi, che, "come fece Pioli è stato in grado di stimolare la squadra", con le ambizioni dei tifosi cresciute "con il passare delle giornate", sino ad arrivare alla vigilia di un match che potrebbe valere il secondo posto in classifica proprio a discapito dei 'cugini' della Roma

BARRIERE IN CURVA NORD - Ma se da un lato il pubblico laziale è aumentato grazie ai risultati sportivi, dall'altro ha visto uno svuotamento della Curva Nord. Motivo? L’installazione delle barriere nel cuore del tifo delle aquile. Un argomento spigoloso, che parte da un presupposto: "Ripristinare la legalità e la sicurezza allo Stadio Olimpico è sacrosanto", anche se "non si capisce perché questa esigenza sia così sentita solo a Roma e non nel resto d’Italia". Uno stadio blindato dove l'occhio del Grande Fratello è già vigile da anni mediante numerosi strumenti di prevenzione al tifo violento. A questo si è aggiunta "la segmentazione delle Curve”, oltre "ai biglietti nominali, al riconoscimento biometrico, ai tornelli, a pre-filtraggi e filtraggi. D'altronde esistono strumenti come lo scanner facciale che permettono di individuare, con un minino margine di errore, chi può creare problemi nell'impianto. Proprio i rilevatori biometrici superano il concetto delle barriere in curva". 

RISPETTO DELLE REGOLE - Le barriere vanno in maniera "completamente opposta alle direttive dell'Uefa che auspica il completo abbattimento delle divisioni anche tra spalti e campo". Una situazione tutta romana, come ci racconta ancora Francesca Turco, attuata "come progetto pilota" in uno stadio dove "ci sono delle regole e degli strumenti che già permettono di punire chi viola i regolamenti o crea problemi. Invece di creare leggi speciali per l'Olimpico basterebbe far rispettare le regole ed utilizzare gli strumenti già a disposizione di chi deve garantire l'ordine e la sicurezza". Così se nella Città Eterna si dividono le curve, "in stadi di proprietà come quello della Juventus, dell'Udinese o il Mapei Stadium del Sassuolo le divisioni sono state eliminate e non si registrano disordini, il che indica che il problema della sicurezza all'Olimpico non si risolve alzando barriere, bensì rimuovendole e facendo rispettare le regole".

ACCESSIBILITA' ALLO STADIO – Uno scrupoloso accesso allo stadio su cui da quest’anno pesa un altro fardello, scoraggiando molti dei tifosi che già avevano assimilato le misure di sicurezza: il divieto di parcheggio nelle aree adiacenti all’impianto. "Sembra quasi che ci sia l'obiettivo di desertificare lo stadio - prosegue la voce biancoceleste dell'etere romano - non solo da quelli che sono gli ultras, ma anche da quelli che possiamo definire normali tifosi". Una presa di posizione nei confronti degli spettatori più accesi che "però riguarda solamente le tifoserie di questa città". Uno stadio all’interno del quale, anche prima dell'introduzione di queste misure di prevenzione, "non si registravano comunque situazioni di scontri o violenza. I tafferugli, purtroppo, si sono sempre verificati fuori dall'Olimpico, a Ponte Milvio o a Ponte Duca d'Aosta. Proprio alla base di queste considerazioni discriminare i tifosi romani è esagerato”.

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IL CALCIO E' DEI TIFOSI - Un calcio moderno che ha perso quello che era il suo aspetto vincente di sport per tutti, di gioco popolare a prezzi modici, per far posto a un consumatore da salotto, chiamato a spendere non per realizzare striscioni, coreografie o comprare sciarpe e bandiere, ma per vedere la partita da casa. Una stonatura in quanto "si gioca il calcio per i tifosi”, e pertanto “senza tifo non c'è calcio", sottolinea senza mezzi termini Francesca Turco. Nonostante questo assioma la speaker spiega: "Sembra che ci sia in atto una strategia per trasformare il tifoso da stadio in un tifoso da poltrona che guarda la partita davanti la tv", un supporter tra i cuscini che però "mina lo spirito stesso del calcio". 

FERITA AL CUORE DEL TIFO – La prossima stracittadina, come nella passata stagione, contrapporrà però a coreografie, sfottò e striscioni goliardici migliaia di seggiolini vuoti. "Il concetto dal quale bisognerebbe partire è che essere un ultras non vuol dire essere un delinquente" prosegue ancora la giornalista. "I due aspetti non vanno sovrapposti, così come i tifosi appassionati non devono essere criminalizzati per il loro modo di intendere il tifo e la partita. C’è bisogno di un tavolo di confronto tra organi di controllo e ultras: le barriere sono una ferita al cuore della curva, da sempre il dodicesimo uomo in campo", anche se dallo scorso anno ha dovuto lasciare la squadra in undici.

STADI DI PROPRIETA' - Un muro contro muro si è ormai creato tra le tifoserie e gli altri attori in causa: "Se si vuole superare questa situazione è necessario che le parti in gioco inizino un dialogo per trovare la soluzione più giusta per tutti". Nel "progetto pilota di Roma" Francesca Turco vede comunque uno spiraglio, “l’apertura del Prefetto che ha annunciato una verifica a gennaio per decidere se mantenere o rimuovere la divisioni della curva”, con un "monitoraggio che potrebbe essere decisivo per l’abbattimento delle barriere nella prossima stagione". Nella Capitale però, a differenza delle altre città italiane, l’Olimpico non è di proprietà del Comune, bensì del Coni "che ha recepito, passivamente, le decisioni prese nel corso degli anni". Soluzione all’impasse? “Due stadi di proprietà”.

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