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Amatriciana

Da Checco ar 65: “Qua se magna romano”

A due passi dai Musei Vaticani, c’è una piccola osteria, in corsa per la migliore amatriciana di Roma nel contest #aromacipiace, grazie ai voti ottenuti dagli utenti di RomaToday

"Qua se magna romano". Le parole, incise a caratteri cubitali su una tavoletta di legno appesa al numero 65 di Via Santamaura, non lasciano spazio a fraintendimenti. All'osteria “Da checco ar 65” i piatti della tradizione romana sono i protagonisti incontrastati e bastano poche battute con il titolare per capire che quella scritta rappresenta molto più di un’indicazione. È  l'esternazione di uno stile di vita, una sorta di avvertimento, come a dire: "Se non vi piace la cucina romana, tirate dritto!".

Nel piccolo locale, che accoglie una trentina di coperti, regna un'atmosfera rustica, tipica delle vecchie osterie della capitale con una storia da raccontare: archi con mattoncini a vista, foto in bianco e nero, sedie di legno e paglia, tovaglie rigorosamente a quadri. Tutto sembra sospeso nel tempo ed evoca una romanità verace, semplice e genuina.

"Prima era un deposito di frutta - racconta il titolare - appartenuto ai miei bisnonni”. Patrizio si definisce “l'ultimo di tre generazioni di fruttaroli” che hanno lavorato ogni giorno in questo ex magazzino a due passi dal mercato Trionfale. "Poi, un giorno - continua -, cinque anni fa, ho iniziato a ristrutturare ed è uscita fuori 'sta bellezza!". Patrizio alza gli occhi alle pareti e guarda il suo locale come un innamorato al primo appuntamento. "A quel punto, ho deciso - afferma, secco - ci voglio fa' un'osteria!". Come se lo sgretolarsi dell'intonaco, oltre che portare alla luce gli originali mattoncini, avesse portato a galla anche un sogno recondito.

"Oggi, la mia grande gratificazione sono i clienti che vengono sempre - spiega il titolare -, ma soprattutto i miei figli che mi hanno seguito in questo progetto". Il più grande, Simone, ha 23 anni ed è dietro ai fornelli, mentre il piccolo, Davide, serve ai tavoli.

"Se si è a dieta – esordisce il primo -, questo non è il locale giusto". Le preparazioni sono ricche, saporite. "L'amatriciana si fa con la cipolla - mette subito in chiaro lo chef -, pecorino, un bel sugo a cottura lenta, peperoncino e un buon guanciale”. I piatti più richiesti? "Amatriciana sicuramente, poi carbonara, tonnarelli cacio e pepe - elenca -, saltimbocca, coda alla vaccinara, polpette al sugo... Ma il piatto che mi viene meglio, forse, sono le fettuccine cicoria guanciale e pecorino". Tutto fresco, stagionale, secondo le ricette tradizionali, "come la cucina delle nonne" ribadisce Patrizio. 

Nessuna rivisitazione? "No, macché - replica -. Al massimo una carbonara tartufata, ma niente versioni vegetariane o cose così...". Patrizio alza le spalle e scuote la testa, come se anche solo l'idea di qualche cambiamento sul menù lo disturbasse. La nostra domanda sembra averlo punto sul vivo: “Ci sono tanti ristoratori che si inventano cose strane - affonda -, ma voi sape' perché? Perché i piatti romani non li sanno fare”. Poggia i gomiti sul tavolo e, con un sorriso malizioso, aggiunge: “Tu pensa che pe' fa' la carbonara ci mettono la panna...".

Entrano due clienti, Patrizio si alza per salutarli amichevolmente, con tanto di pacca sulle spalle. "Che volete magnà oggi - chiede -? Ve porto du' fagioli co' le cotiche, un po' di trippa e 'n antipastino?". I due si guardano compiaciuti e si scambiano cenni di consenso. Un ordine preso in 10 secondi, spontaneità, sorrisi e sapori buoni. Insomma, romanità allo stato puro.

Da Checco ar 65


 

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