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Violenza sulle donne, stare a casa può essere un incubo: da Befree posti in hotel e b&b

Il progetto è stato avviato grazie a un finanziamento della fondazione Haiku Lugano

“Se in tempi normali per un donna che subisce violenza all’interno delle mura di casa è complcato denunciare la propria situazione, ora che stare a casa è obbligatorio tutte le difficoltà appaiono amplificate. Ma anche con l’emergenza Coronavirus dobbiamo mandare questo messaggio: mettersi al sicuro si può”. A parlare è Oria Gargano, presidente di Befree, cooperativa che da più di dieci anni si occupa di contrasto alla violenza di genere e contro la tratta gestendo diversi centri in tutta Italia. Proprio in questi giorni Befree, grazie a un "piccolo finanziamento" della fondazione Haiku Lugano prova a incrementare la possibilità di offrire ospitalità a queste donne e ai loro bambini presso strutture alberghiere di Roma.

“Si tratta di un progetto sperimentale che serve a dare risposte ai casi più urgenti perché oggi l’emergenza c’è”, spiega Gargano. “Ancora non sappiamo quante donne potremo ospitare perché dipenderà dalla durata delle residenze e dal tipo di strutture che le ospiteranno. Ci sono alberghi che si sono detti disponibili a riaprire le cucine. Sarebbero adatte anche le case vacanze o i bed and breakfast spesso dotati di cucine autonome e quindi più funzionali. Tutto avverrà con il dovuto supporto di operatrici, educatori, psicologhe, legali e con tutte le misure di sicurezza sanitaria richieste in questa momento”.

Nelle prime due settimane da quando sono scattate le restrizioni per contenere l’epidemia del contagio “il numero di telefonate aveva registrato un calo ma poi, negli ultimi dieci giorni, quando si è capito che i centri antiviolenza non hanno mai smesso di lavorare e i numeri d’emergenza sono rimasti attivi, le telefonate sono cresciute in modo esponenziale”, continua Gargano.

Nonostante i numeri relativi alla violenza nei confronti delle donne siano molto alti in Italia, “i primi decreti si erano dimenticati di questo problema”. Ma nei giorni seguenti, anche grazie alla sollecitazione delle realtà impegnate in questo campo, la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, e quella alle Pari opportunità e Famiglia, Elena Bonetti, hanno avviato una campagna di sensibilizzazione sull’utilizzo del numero di emergenza 1522 e strumenti per le segnalazioni come la app YouPol. La titolare del Viminale ha anche emanato una specifica direttiva ai prefetti per garantire accoglienza ipotizzando anche il ricorso ai poteri di requisizione.

Intanto le restrizioni dovute all’emergenza sanitaria rischiano di aggravare la situazione. Se per molte famiglie essere costretti a stare a casa significa passare più tempo insieme, per molte donne questo “moltiplica le angosce. Ci sono storie che seguivamo già da prima dell’emergenza che si sono aggravate. Perché senza andare a lavorare si convive ogni istante della giornata, perché i bambini sono a casa e assistono alle violenze o perché gli spazi piccoli di alcune abitazioni aggravano ulteriormente la gestione della quotidianità. Alcuni problemi legati alla convivenza si possono risolvere altri invece no”.

Ad alcune donne va trovato un luogo sicuro e la carenza endemica dei posti disponibili in Italia in questa fase è ancora più grave. “Abbiamo solo il 10 per cento di quelli che sarebbero necessari”, conferma Gargano. “Senza considerare che, a causa dell’emergenza, anche le donne che avrebbero terminato il proprio percorso stanno rimanendo nei centri”. Per questo il progetto partito in queste ore “è importante e la speranza è che anche altre realtà si facciano avanti”. 

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