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Croppi sul Festival del Cinema: “Irrituale calare nomi dall’alto”

"Alemanno passato un primo momento in cui si era innamorato del Festival, ha iniziato ad avvertirlo quasi come un corpo estraneo". Croppi parla dello stallo nella nomina del direttore artistico del Festival

Il Cda è rinviato a data da destinarsi. Partita Festival del Cinema sospesa causa maltempo. Nel frattempo i giocatori studiano mosse e contromosse facendo somigliare vertici di routine a segrete riunioni che di tecnico non sembravano avere granché. Già, la bagarre per le nomine del nuovo direttore artistico dell’ex Festa romana non trova pace e, se da un lato il tandem Alemanno-Polverini sponsorizza senza riserve Marco Muller, ex numero uno della kermesse veneziana, dall’altro c’è chi, tra soci, artisti e politici di opposizione, non ci vede chiaro.

Perché sostenere un candidato che, con netta evidenza, non mette d’accordo le parti rischiando di sacrificare i lavori organizzativi? C’è qualcuno per cui il gioco vale la candela? E i progetti che fine hanno fatto? E il buco nel bilancio (2 milioni e 800 mila euro) non è forse questione più “calda” di nomi e dirigenze? Nel tentativo di dipanare la matassa abbiamo rivolto qualche domanda all’ex assessore alla cultura Umberto Croppi. Ex perché con la nuova giunta non è stato riconfermato. Lui però, quando il testimone del Festival è passato dal padre Veltroni all’erede Alemanno, era al timone e una sua idea, decisamente chiara, se l’è fatta.


Perché a suo avviso Alemanno e Polverini sostengono con tanta ostinazione la candidatura di Marco Muller alla direzione artistica del Festival?
Direi quasi per caso. La risposta è banale ma né l’uno né l’altra conoscono Muller né tantomeno il suo operato. Ho presentato io, ai tempi del mio assessorato, l’ex direttore di Venezia al sindaco Alemanno. Dietro la scelta di appoggiarlo non c’è nessun tipo di valutazione importante.

E allora cosa c’è?
Il chiaro intento di mettere un “cappello” sulla kermesse. Addirittura la Polverini ha sposato la candidatura di Muller tirando in ballo i finanziamenti all’evento: della serie, ci metto i soldi ma con l’uomo che dico io. Ferma restando la legittimità indiscussa di due soci importanti di preoccuparsi del futuro del Festival e di conseguenza di discutere di nomine e vertici, il tutto andava fatto con più cautela, tenendo conto delle procedure istituzionali.  

Quindi... proponendo il futuro direttore artistico si aggira un iter prestabilito?
Per come è strutturato il Festival del Cinema la figura centrale è il presidente, nominato  dall’assemblea dei soci. Poi è lui a designare la sua idea di festival e a indicare e sottoporre al Cda, che è espressione dei soci ma ha una sua autonomia gestionale, la scelta del direttore. E’ irrituale che i soci antepongano alla scelta del presidente l’indicazione del direttore. Lo è sia nei confronti di Rondi (attuale presidente, ndr), il cui mandato scade a giugno, sia nei confronti di quello che sarà il nuovo presidente che si troverebbe a non avere più un ruolo vero.

Quindi come si sarebbe dovuto agire, ferma restando la legittimità dei due soci istituzionali a “dire la loro”?
Avrebbe avuto senso preoccuparsi del futuro direttore attraverso consultazioni riservate e valutando attentamente le indicazioni del presidente e, perché no, acquisendo il suo pieno consenso. Dovevano poi essere coinvolti gli altri soci (Camera di Commercio e Provincia, ndr) nell’individuazione di quello che sarà il nuovo presidente (e non il direttore, che sono due figure con diverse competenze) e la cui scelta dovrebbe essere unanime. In tutto questo andava coinvolto il presidente attuale e solo allora si sarebbe potuto lavorare su ipotesi legate al nome del direttore. Paradossalmente avrebbe avuto più senso proporre Muller come presidente. Insomma, è la procedura che è profondamente sbagliata. Calare un nome a caso dall’alto, oltre a essere illegittimo, equivale a sconfessare l’operato della Detassis (Piera Detassis, direttore attuale, ndr) che ha condotto con successo certificato le edizioni passate.

A proposito di passato torniamo al 2008. Alemanno criticò spesso il Festival del Cinema auspicando un suo necessario “ridimensionamento”. Ci spiega meglio cosa cambiò inizialmente rispetto alla Festa veltroniana?
Già in campagna elettorale la destra aveva attaccato fortemente Veltroni in merito alla  gestione dell’evento. Insomma, lo si riteneva un dispendio eccessivo e la posizione fece breccia anche in diversi ambienti della sinistra. Premesso questo, da assessore alla Cultura, predisposi degli studi in merito al mantenimento dell’evento o piuttosto alla sua cancellazione. Valutati pro e contro si decise di proseguire aumentando la parte business e diminuendo il costo complessivo pur mantenendo un livello di qualità. Scegliere Rondi come presidente aveva (forse inconsapevolmente) un carattere tecnico: con lui infatti la Festa veltroniana assunse un carattere marcatamente internazionale. Si parlava di format e di prospettive. C’erano intenti reali e concreti di valorizzazione dell’evento in senso qualitativo.

E poi cosa è accaduto?
Che Alemanno, passato un primo momento in cui si era innamorato del giocattolo, ha iniziato ad avvertire il Festival quasi come un corpo estraneo. Si è sempre relazionato male con questa realtà. Prova ne è l’episodio dei fischi ricevuti in sala nell’edizione del 2010. Da lì l’idea di azzerare i vertici, e di limitare quella che era sentita dal sindaco come un’espressione di autonomia eccessiva e di ostilità nei suoi confronti.

Quindi si può dire che si è fatto un passo indietro? Nel senso: da che si volevano eliminare logiche politiche all’interno di una manifestazione culturale ci si è ricaduti?
Si, si può dire. E si può aggiungere che ci si è ricaduti in modo anche un po’ arrogante e superficiale.

E i progetti, che fine hanno fatto?
Ottima osservazione. La preoccupazione che dovrebbero avere tutti i soci del Festival è “cosa” si deve fare prima che “chi” e, al momento, né Alemanno né la Polverini hanno minimamente parlato di format e né di prospettive.

Prospettive legate ovviamente anche agli aspetti economici. Del buco nel bilancio cosa ci dice?
Semplicemente che è il prodotto di una Regione che è morosa. Mancano 2 milioni e 800 mila euro che la Polverini non ha versato, il che, neanche a dirlo, è assurdo oltre che  illegittimo rispetto a un impegno preso da tutti soci, che sono chiamati a versare ognuno una quota di 1 milione e 300 mila euro. Ci sono impegni vincolanti, non si possono  ignorare i bilanci preventivi.

D’obbligo la domanda finale: in seguito alla sua uscita dalla giunta il sindaco Alemanno le propose una candidatura come presidente del Festival. Non accettò. Perché?
Per due ordini di motivi: primo perché l’offerta aveva tutto il sapore di un risarcimento e questo, sinceramente, sarebbe stato imbarazzante da accettare. Seconda di poi, nonostante una mia possibile presidenza fosse sostenuta da esponenti importanti del mondo della produzione cinematografica, Alemanno (e non lo voleva capire) non aveva nella sue disponibilità una mia nomina. Questo perché il presidente Rondi sarebbe stato in carica ancora un anno e mezzo e il sindaco non poteva fare offerte in una simile situazione. Se mi fosse stato richiesto adesso con un consenso svincolato da quella sorta di risarcimento e se la mia presenza avesse potuto fungere da raccordo tra le varie componenti così da riportare il Festival su binari più istituzionali, allora avrei potuto considerare l’ipotesi. Ma queste condizioni non si sono presentate.

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