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Politica Tor Tre Teste / Via Francesco Tovaglieri

"Siamo quelli che valgono più del traffico di droga": storie di vita dal residence di Totti

Gli inquilini del residence di via Tovaglieri si raccontano

Hanno deciso di prendere parola in prima persona. Di far vedere i loro visi, di firmare con i loro nomi, per dare una forma umana a una storia che è stata raccontata sempre e solo come uno scandalo: quello dei costosissimi residence per l’emergenza abitativa romana. E anche oggi che queste strutture sono in via di chiusura, loro, quelle famiglie parcheggiate lì dentro per anni con la promessa di vedersi assegnata in pochi mesi una casa popolare, moneta sonante per un intero sistema, rischiano di sparire, ancora una volta, da questa storia. 

Dopo anni di attesa in un limbo di perenne temporaneità molti di loro rischiano di precipitare nella disperazione da cui tutto era nato: andare incontro a un nuovo sfratto. Tutti gli altri di ‘salvarsi’ aggrappandosi controvoglia alla rinnovata prospettiva di un abitare precario. Per questo gli inquilini del residence di via Tovaglieri, a Tor Tre Teste, la scorsa settimana hanno pubblicato la loro testimonianza, con tanto di video (qui il link), sul sito che raccoglie gli interventi di diverse realtà di movimento italiane, ‘Abitare nella crisi’. 

La sensazione che serpeggia tra le 35 famiglie ospitate nella struttura della Ten Immobiliare, di proprietà della famiglia Totti, è quella di essere delle “vite di scarto”. Vite che per anni, il Centro di assistenza alloggiativa temporanea è attivo dal 2007, hanno fruttato oltre ottocentomila euro all’anno, circa duemila euro al mese a famiglia per piccoli appartamenti nemmeno troppo confortevoli. Prima che l’amministrazione di Ignazio Marino annunciasse la volontà di chiuderli, il Campidoglio spendeva 40 milioni di euro per tenere aperte una trentina di strutture simili. Tutte in periferia, con appartamenti molto piccoli, la maggior parte con le pareti di cartongesso aggiunte in seguito dagli inquilini, molti ex uffici, quasi tutti con costi superiori ai duemila euro al mese a famiglia. Oggi, dopo la chiusura di alcune di queste, la spesa è scesa a 30 milioni di euro. 

“Siamo quelli che valgono più del traffico di stupefacenti” scrive Elisa, 36 anni. “Quelli che infilarli dentro un’immensa struttura conviene: gli amici costruttori guadagnano e tutti ammassati ci si tiene più sotto controllo. Quelli che oggi vedono sparire dal lessico istituzionale le due paroline che fino ad oggi ci hanno tenuti vivi ‘alloggio popolare’, sostituite da un acronimo usato per confondere la grande platea, ma la cui sostanza è la stessa del Caat: Sassat”. 

E ancora Roberta, 22 anni, vive da otto nel residence di Tor Tre Teste insieme alla sua famiglia. “Ci siamo stufati di essere trattati come se fossimo degli ‘oggetti’, che non sapete né più dove metterci e né tanto meno cosa fare, o per lo meno questo è quello che volete far intendere” scrive. “Sarebbe ora che vi rimettiate in moto, nel modo giusto, perché ci sono bambini, ragazzi come me che sono entrati lì a quattordici anni e ora ne hanno ventidue, e non sanno, e non sapranno mai cosa fare della loro vita, finché non ci sarà un posto chiamato ‘casa’ in cui sentirsi sicuri, nonostante i nostri genitori che fanno degli sforzi enormi”.

Nei residence vivono ancora oggi 1200 famiglie. L’amministrazione sta cercando di sostituirli con un nuovo sistema di accoglienza temporanea, i Sassat (Servizio di assistenza socio-alloggiativa temporanea), destinati a famiglie con meno di 12 mila euro di reddito Isee annuo, che al termine dei due anni previsti dal servizio, nei piani del Comune, dovrebbero essere ricche abbastanza per permettersi una casa sul mercato privato. 

Delle oltre 1200 domande presentate, 652 sono state escluse, la maggior parte non per motivi di reddito ma per vizi di forma nella presentazione della domanda. Nel corso di una recente commissione capitolina sul tema, che si è svolta in Campidoglio alla presenza dell’assessora Rosalba Castiglione, il dirigente dell'Unità organizzativa Interventi di sostegno abitativo all'interno dell'ufficio Politiche abitative del dipartimento Patrimonio, Paolo Cesare Lops, ha spiegato che il Campidoglio è pronto a valutare l’accoglimento di parte delle 533 opposizioni avanzate dalle famiglie ma di non voler fare alcun passo indietro su quanti non hanno apposto una ‘x’, il cosiddetto ‘flag’, su alcune delle voci della domanda. Tra le 150 e le 200 famiglie rischiano così di rimanere escluse dal nuovo servizio per questo motivo.  

Dopo la fascia delle famiglie che hanno accesso al Sassat, c’è quella dei ‘più ricchi’, sempre senza superare i 18 mila euro di reddito all’anno (più basso di quello per l’accesso a una casa popolare), quelli che hanno diritto al buono casa: un contributo fino a 800 euro al mese che il Comune versa a quanti riescono a convincere autonomamente un proprietario di casa ad affittare un alloggio a canone concordato. Uno strumento che, per stessa ammissione degli uffici capitolini, non ha avuto molto successo: in quattro anni ne hanno avuto accesso “numeri abbastanza ridotti, il 10 per cento”. 

Infine ci sono le famiglie da sgomberare, quelle a cui è stata revocata l’assistenza alloggiativa. Non sempre è per motivi di reddito. Una di queste è proprio Gina, 38 anni, che su Abitare nella crisi ha raccontato la sua storia. Romatoday ne aveva parlato perché Gina, insieme al marito e ai figli di 10 e 12 anni ha ricevuto un avviso di revoca dell’assistenza e, di conseguenza, di sgombero solo per mandato il figlio di 10 anni in vacanza dai nonni in Romania. Il rischio è quello di un infernale gioco dell’oca: “Siamo entrati nel residence, insieme alla mia famiglia, in seguito ad un disagio economico” scrive. “La promessa era che saremmo stati pochi mesi, invece sono passati otto anni e ancora siamo qui con il rischio di essere buttati fuori. Dopo tanti anni di sacrifici e di disagi, non solo non hanno mantenuto le promesse, ma vogliono liberarsi di noi come se fossimo una malattia contagiosa”. 

Anche Roberto, 50 anni, disabile al 100%, da 8 anni nel residence passati “in uno stato di ansia e di preoccupazione continua”, rischia di restare per strada. “Un anno fa, mio figlio è stato costretto ad emigrare in Germania per una stagione, per guadagnare qualche euro e il Comune lo ha diffidato dal rientrare nel Caat e io, il padre, sono costretto vedere mio figlio dormire in macchina. Attualmente (per motivi burocratici legati alla presentazione della domanda di accesso al Sassat, ndr) rischio anche io, disabile al 100% e mia moglie, affetta da glaucoma a un occhio, di finire in mezzo ad una strada. Chiedo solo che si vengano rispettati i diritti di tutti”. 

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