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Politica Tufello / Via Monte Beni

Case popolari, sgombero dopo 40 anni: "Il Comune vuole riassegnarla ma non c'è l'abitabilità"

Giovanni ha 68 anni e con la moglie vive della pensione di invalidità

Con le stanze in cui ha abitato per 40 anni l’amministrazione capitolina vuole far scorrere la graduatoria dando un tetto ad un’altra famiglia. Anche se l’immobile in questione, sulla carta, una vera e propria casa non lo è mai stata. È dagli appartamenti popolari di proprietà del Comune di Roma che arriva la storia di Giovanni Leonetti. 68 anni tra un paio di mesi, Giovanni vive in quei locali al seminterrato di via Monte Beni, al Tufello, III municipio, dal 1978. Ci ha vissuto insieme alla moglie che di anni, al tempo, ne aveva solo 24. La loro unica figlia non era ancora nata.

Entrarono senza titolo. “All’inizio ho continuato a pagare i bollettini a nome del precedente inquilino”. Poi, nel 1980 “ho richiesto che venissero intestati a mio nome. E così da allora verso quanto richiesto ogni mese. Negli anni ho tentato più volte di regolarizzare la mia posizione presso la società che gestiva questo patrimonio ma senza successo”. Il motivo? “Mi sono sempre sentito rispondere a voce che non potevo usufruire della sanatoria perché la mia abitazione non è in possesso dei requisiti di abitabilità e quindi non assegnabile”. 

È nata come locale da adibire a cantina, anche se per anni, vista la mancanza di spazi idonei, nel quartiere raccontano come molti di questi seminterrati siano diventati negozietti di quartiere. O abitazioni, come quella di Giovanni, raggiungibile scendendo una piccola scalinata, con le finestre alte sulla sala. Ad una parete, dietro il divano, è appoggiata la rete di un letto. Alla camera, “l’unica nonostante qui dentro ci abbiamo cresciuto anche una figlia”, si arriva passando per una cucina dalla quale si ha accesso anche al bagno. 

“Non siamo mai riusciti a sanare la nostra situazione perché questa casa non ha l’abitabilità. O almeno, così ci è sempre stato riferito”. Eppure la comunicazione con la quale il dipartimento Politiche Abitative gli ha intimato di lasciarla parla chiaro: “La scrivente amministrazione deve procedere in autotutela al recupero dell'unità immobiliare per poterla consegnare al nucleo familiare avente diritto”. Mentre parla Giovanni stringe tra le mani i numerosi bollettini a suo nome. “Sempre pagati”. Tra le carte impilate in una cartelletta trasparente ci sono anche le bollette dell’Acea e dell’Ama, le spese condominiali, la quota del riscaldamento centralizzato. “Tutti allacci autorizzati, intestati a mio nome e pagati. Senza contare i lavori effettuati per la manutenzione di questo posto”. 

La lettera con la quale il dipartimento Politiche Abitative ha diffidato Giovanni e sua moglie a lasciare i locali entro 15 giorni è arrivata il 6 giugno del 2017. Con lo stesso documento è stata comunicata l’intenzione degli uffici capitolini di “provvedere ad applicare la sanzione amministrativa” prevista ai sensi di legge, poi calcolata in 21 mila euro, e la conseguente presentazione “alla competente Autorità Giudiziaria” dell'atto di querela per occupazione abusiva di alloggio di proprietà pubblica. Ad ottobre del 2017 viene notificata la determina di sgombero, "anche forzoso se necessario". A giugno del 2018, per l’identificazione e la nomina di un difensore, hanno bussato alla loro porta anche gli agenti della polizia locale. 

“Un incubo. Viviamo nel terrore di svegliarci nel giorno dello sgombero e perdere la casa. Ma noi da qui non ce ne andiamo semplicemente perché non abbiamo un altro posto dove stare”. Mentre Giovanni parla, la determinazione nei suoi occhi lascia spazio alla paura. Ha lavorato per 41 anni come trasportatore. In attesa che gli venga riconosciuta la pensione, “dall’Inps dicono che la mia domanda è in lavorazione” precisa, si mantiene insieme alla moglie, casalinga, con l’assegno di invalidità da 465 euro al mese. È cardiopatico, ha subito diverse ischemie e a causa di un edema polmonare deve sempre avere a portata di mano una bombola di ossigeno. 

Con il procedimento di sgombero a carico non potrà più nemmeno fare richiesta per una casa popolare. “Hanno deciso di cacciarci per strada, di renderci degli invisibili e senza alternative”. L’idea di ricorrere ai dormitori notturni proposti in caso di sgombero dalla Sala operativa sociale del comune e alla casa famiglia solo per la moglie, uniche alternative avanzate in questi casi, fa paura. “Ma come posso pensare di vivere la mia pensione così? E poi non mi dividerò mai da mia moglie”. 

A seguire la sua storia il sindacato Asia Usb e il Comitato case popolari del Tufello. “La mobilitazione per chiedere soluzioni alternative non si arresteranno” spiega Fabio Catalano, sindacalista presso la sede di zona. “Alla Regione abbiamo chiesto una regolarizzazione di questi casi, al Comune di smetterla di prendersela con le famiglie meno abbienti che vivono nelle case popolari”. 

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