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Via Scorticabove, notte sotto il temporale per i sudanesi sfrattati: "Restiamo qui, non accettiamo di essere divisi"

Ecco perché tornare in un centro d'accoglienza, dopo 13 anni in Italia, è inaccettabile. Prosegue la resistenza della comunità sudanese

Notte difficile per i rifugiati di via Scorticabove. La pioggia intensa ha trasformato una già difficile situazione in un vero e proprio incubo. L'accampamento a cielo aperto è stato protetto con teli e tettoie di fortune, trasformati in tetto per i sudanesi che da oltre 10 giorni resistono alle ipotesi di smembramento della comunità. 

A nulla è valso l'ennesimo appello dell'assessora Laura Baldassare ad accettare l'accoglienza proposta. Inaccettabile per i migranti cacciati essere divisi nei vari centri. Un'accoglienza tra l'altro parziale, non per tutti, come confermano gli stessi rifugiati. Ed anche per questo la decisione è di resistere. "Noi non possiamo abbandonare nessuno, solo quando si muore", racconta un migrante. 

Una comunità solidale, forte di 13 anni di convivenza e di condivisione di vita, momenti difficili, ma anche di festa. Una comunità che resiste anche per il reciproco aiuto che permette di superare le situazioni più durre. Ecco perché dopo lo sfratto "accettare di essere portati chi in un centro, chi in un altro, significherebbe perdere di nuovo la propria casa". 

La comunità come casa, l'ultima rimasta, in attesa che il tavolo con il Campidoglio accenda la luce su possibili soluzioni indicate da tempo, ma ignorate dalle istituzioni, capaci di offrire solo un passo indietro. "Tornare in un centro di accoglienza sarebbe per noi un passo indietro. Molti di noi fanno gli operatori nei centri di accoglienza e ci ritroveremmo a tornare lì dove abbiamo iniziato". Dopo 13 anni, dopo essere diventati in alcuni casi italiani a tutti gli effetti. 

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