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Roghi tossici, comitati diffidano il Comune: "E' un emergenza. Si tuteli diritto alla salute"

Con un esposto alle Autorità competenti i cittadini chiedono interventi immediati da parte dell'istituzioni. "Respiriamo diossina, ora basta"

Colli Aniene, Settecamini, Ponte di Nona, Tor Sapienza. Roma est grida per l'ennesima volta vendetta e diffida il Campidoglio a intervenire al più presto per garantire la salute pubblica. I fumi provenienti da baraccopoli e insediamenti abusivi, frutto della continua accensione di fuochi illegali, appestano ormai da anni i quartieri di periferia, specie nel quadrante orientale della città. Chi ha casa a pochi metri da un campo rom, è destinato a respirare diossina. 

Colonne nere, dense, irrespirabili per chi le crea e per i residenti, costretti a barricarsi in casa serrando bene le finestre. Plastica, oro rosso, ferro: si brucia quello che viene raccolto dai cassonetti, o accumulato con furti e rapine, per recuperare il materiale vendibile, su tutti il rame dai cavi elettrici. Ma si accendono anche braci di fortuna per cucinare, semplici falò d'inverno per scaldarsi, o i rifiuti che si accumulano in montagne che diventano ingestibili. 

E non si contano più le segnalazioni dei comitati di quartiere alle Autorità competenti, ben consce del problema. Quello depositato l'8 giugno 2017 è l'ennesimo esposto. Stavolta i comitati firmatari ci sono tutti: Colli Aniene, Torraccia, Casal Monastero, Rebibbia, Largo Beltramelli, Pietralata, Tor Sapienza, Nuova Ponte di Nona. Insieme per lanciare ancora una volta l'allerta a una lunga lista di destinatari. Tra questi la sindaca di Roma, Virginia Raggi, il Comando dei Carabinieri, la Questura, il Prefetto, gli assessori competenti. 

Si chiede "di garantire la tutela della salute pubblica a tutti i cittadini, diritto sancito dalla Carta costituzionale". Si riassume in qualche riga il fenomeno delle "nubi di fumo nell'atmosfera", quelle "dal forte odore acre che brucia occhi, naso e gola, causate da più roghi appiccati da ignoti". Una vera e propria "emergenza umanitaria e sanitaria a causa anche delle precarie condizioni igieniche dei luoghi dove ancora vivono centinaia di persone". Baraccopoli simili a favelas. E si pretende "un'attività preventiva di controllo del territorio, che consenta di arginare il fenomeno, facendo desistere gli autori di tali atti e assicurando l'immediatezza nell'individuazione dei responsabili". Insieme a "uno screening sanitario di controllo a partire dai campi, per verificare i tassi di intossicazione di metalli pesanti e un'analisi dei terreni dove sono presenti gli orti". E i dati sulla mortalità nelle zone interessate. Perché le normative per fermare i roghi esistono, il problema è la loro applicazione. 

C'è la famosa legge sulla Terra dei Fuochi, licenziata in occasione dell'emergenza campana ma che almeno sulla carta dovrebbe servire anche a Roma. E' il decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136 coordinato con la legge di conversione 6 febbraio 2014, n. 6 recante "disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate". E poi ci sono le norme di attuazione del piano di risanamento per la qualità dell'aria della regione Lazio, approvate con delibera del Consiglio regionale n.66 del 2009 che vieta qualsiasi tipo di combustione all'aperto in tutto il territorio del Comune di Roma. 
 

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