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Giovedì, 25 Aprile 2024
Politica

Rifiuti, tre anni di nulla firmato Raggi: ecco perché Roma lercia è una responsabilità a 5 stelle

La sindaca spiega l'emergenza con la tesi del complotto. Ma cosa ha fatto il M5s per rivoluzionare lo smaltimento dei rifiuti? Ecco le tappe, una per una

Da "abbiamo un piano" a "siamo sotto scacco". Da "ripuliremo Roma" a "la criminalità fiacca Ama". Da "non chiamiamoli rifiuti ma materiali post consumo" a "questa è la guerra dei rifiuti". Nel mezzo tre anni di azioni che hanno prodotto risultati vicini allo zero. Roma combatte da giorni con l'ennesima (ampiamente annunciata) crisi del ciclo rifiuti. Cassonetti strapieni in tutti i quartieri, topi che scorrazzano tra l'umido che imputridisce al sole, allerta delle Asl per le condizioni igieniche dei marciapiedi, foto con distese di vermi che fanno il giro del web. Un'emergenza, termine poco amato in Campidoglio ma tant'è, che per la sindaca Virginia e la maggioranza M5s ha una sola e unica spiegazione: il complotto.

Qualcuno rema contro il tentativo del Comune grillino di risanare il settore rifiuti. Prova ne sarebbero gli incendi ai cassonetti degli ultimi giorni e ancora prima il rogo al Tmb Salario di dicembre. Guai a parlare di gesti volontari, condannabili sì ma frutto di una profonda esasperazione da parte della cittadinanza. Dietro ci sono "appetiti criminali", dice Raggi, pronti a ostacolare in ogni modo il cambiamento. Diamola per buona, la tesi della trama oscura. La vera domanda però è: il cambiamento da ostacolare ad ogni costo, esattamente, in cosa consiste? Cosa ha fatto il governo della sindaca grillina per rivoluzionare raccolta e smaltimento dei rifiuti? Ripercorriamo le tappe, una per una. 

Rifiuti zero: Montanari e il piano dei sogni

"Non chiamiamoli rifiuti ma materiali post consumo". Uno slogan, una battaglia, un volto, quello di Pinuccia Montanari, ex assessore all'Ambiente che a febbraio ha lasciato la poltrona, dopo quattro mesi ancora vuota. È lei a mettere la faccia sul piano rifiuti a Cinque Stelle licenziato in giunta ad aprile del 2017. Al suo fianco la sindaca Raggi a farne una bandiera a ogni ospitata tv, a ogni domanda dei vari Formigli, Floris, Giletti, Vespa. Green card, tariffazione puntuale con premialità per chi differenzia bene, "riuso creativo" degli scarti, fabbriche del riciclo per materassi e pannolini, nell'elenco degli obiettivi. Magari. Niente di tutto questo è mai diventato realtà, perché subordinato ai due assi su cui si incentra il grande piano "rivoluzione" che avanzano a ritmi ridicoli. Il primo: no a discariche sul territorio di Roma e no a impianti di trattamento, se non di compostaggio. Ed ecco spuntare, sulla carta, due progetti per due impianti da realizzare sui territori di Cesano (XV municipio) e Casal Selce (XIII municipio). Che fine hanno fatto?

Le promesse su riciclo e compost

Per studiare le caratteristiche dei modelli migliori, premiati dalla Comunità Europea, Montanari è andata fino in Portogallo. I due impianti dovrebbero servire per trattare in loco la produzione della frazione umida dei rifiuti, da trasformare in compost e riutilizzare in agricoltura: 5 milioni di risparmio l'anno stimati per le casse del Campidoglio, che evita i costi di trasferimento dell'organico fuori città, e 120mila tonnellate trattate. Più i servizi al cittadino negli spazi scelti per la realizzazione delle eco "cittadelle". A marzo 2018 il Comune deposita i progetti in Regione, Ama però impiega ben sei mesi per reperire dei documenti integrativi richiesti dalla Pisana. La Conferenza dei Servizi non parte prima di marzo 2019. E l'iter si blocca subito perché emergono pareri negativi legati a vincoli paesaggistici ed espropri dei terreni emessi dagli stessi uffici capitolini. Pareri che adesso toccherà trovare il modo per superare. Tradotto: siamo in alto mare. 

Nulla si sa poi degli altri 11 impianti indicati nella bozza di piano industriale Ama, unico esistente, licenziato dall'ex Cda guidato da Lorenzo Bagnacani: tre per plastica e metalli, due fabbriche dei materiali, quattro per materiali specifici come i Raee,  uno per la vetrificazione degli scarti. Dove, come e con quali risorse economiche è tutto da capire.

Il nuovo Pap a rilento e la differenziata che non cresce 

Ma torniamo al piano Montanari. Dimostrato che il primo asse portante, quello dell'impiantistica, è ancora inesistente, guardiamo al secondo: la raccolta differenziata. Il grande faro che guida la strategia di gestione dei rifiuti a Cinque Stelle. Sperimentato a settembre 2017 nell'area del ghetto ebraico e celebrato dalla sindaca per i risultati immediati (l'80% di rifiuti separati, ma parliamo di 760 abitanti), è un nuovo modello di porta a porta (Pap) hi-tech, con microchip e bidoncini intelligenti che dovrebbero tracciare l'immondizia per poi applicare una Tari a ribasso per i "virtuosi". Obiettivo: estenderlo a tutta Roma, come più volte dichiarato da Raggi e Montanari, per toccare il 70% di differenziata nel 2021, a fine legislatura. 

Stato attuale: solo due municipi parzialmente coperti, il X e il VI, e l'annuncio a febbraio (rimasto tale) di una prossima partenza in V. I numeri della differenziata? Lontani anni luce dal traguardo: dal 43% del 2015 siamo a circa il 45% di oggi. Due punti in due anni. Salvo miracoli, è difficile immaginare che senza un cambio di rotta improvviso si possa raggiungere quel 70 per cento promesso. Eppure Raggi, a settembre 2018 in un post comparso sul Blog delle Stelle a sua firma scriveva: "Roma, la raccolta differenziata cresce senza sosta". E ancora: "I risultati sono incoraggianti". 

Il grande flop della raccolta commerciale

Un fallimento conclamato è invece l'applicazione del modello alle utenze non domestiche, per stessa ammissione dei grillini. Negozi, scuole, ospedali lamentano da mesi disservizi continui, da quando il maxi appalto del valore di 150 milioni di euro, con esternalizzazione ai privati, doveva portare grandi, e positivi, cambiamenti. E invece, tra giri saltati, multe "ingiuste" per occupazione di suolo pubblico con i bidoncini, e un numero verde che non risponde alle segnalazioni, il nuovo servizio si è rivelato un caos. Tanto che nel silenzio generale, lo ha bocciato pure il presidente della commissione Commercio Andrea Coia, ma incolpando le ditte private. 

Ama senza bilancio da mesi

Riassumendo: i segni del cambiamento, parlano i fatti, sono tanto timidi da risultare quasi impercettibili per la cittadinanza. Concretamente, per i rifiuti di Roma, è cambiato poco o nulla in tre anni. Questo anche perché l'applicazione di modelli sulla carta ineccepibili dovrebbero contare su un'azienda solida che li gestisce e li organizza. Mentre Ama, lo ricordiamo, va avanti da un anno senza ben due bilanci, quello del 2017 finito al centro del famoso braccio di ferro tra Campidoglio ed ex Cda con annessi risvolti in tribunale, e di conseguenza anche quello del 2018. Un'azienda che sul fronte contabile naviga a vista, appesa a linee di credito che le banche non erogano più, a fornitori che hanno perso fiducia, impossibilitata a progettare e, soprattutto, ad assumere. Per far volare il porta a porta, è la denuncia sia dei sindacati che degli operatori, serve personale. Che attualmente per coprire il Pap viene tolto dal servizio in strada. Morale della favola: se non si allunga la coperta, anche il piano più virtuoso del mondo non può che intopparsi. 

Una discarica per Roma: lo scontro Comune-Regione

Così al libro dei sogni si sostituisce l'amara realtà. Mentre scriviamo le postazioni di raccolta sono piene di rifiuti. E torna a galla il problema dei problemi: Roma non dispone di una rete impiantistica sufficiente per smaltire le sue quasi cinquemila tonnellate di immondizia quotidiana. Nè attualmente per il trattamento meccanico biologico (il Tmb Salario è andato a fuoco a dicembre e quelli di Malagrotta sono operativi solo a metà), né per il conferimento finale in discarica o nei termovalorizzatori. Si appoggia a impianti terzi, nel Lazio e fuori regione, con costi altissimi in termini economici e di efficienza della filiera. Da qui il grande braccio di ferro. La Regione Lazio vorrebbe imporre al Campidoglio la realizzazione di una discarica di servizio sul territorio. D'altronde lo dice la legge (decreto Ronchi del 2006): gli Ato (Ambiti territoriali ottimali), enti corrispondenti alle ex province, devono provvedere in autonomia allo smaltimento dell'immondizia. Il Comune d'altronde, in coerenza con il Grillo pensiero, non vuole nessuna discarica. Cioè, non la vuole sul suo territorio. 

Il Governo non aiuta Raggi su revisione degli Ato

Raggi però sa cosa dice la legge, e infatti ne ha chiesto implicitamente la revisione. "Dobbiamo superare la logica degli Ato e portare i rifiuti negli impianti già esistenti". Un appello rivolto al suo ministro dell'Ambiente Sergio Costa, che non sembra però essere stato recepito. Costa ha fatto per settimane da mediatore tra Comune e Regione all'interno di un'apposita cabina di regia istituita per discutere il tema rifiuti di Roma. "Abbiamo raggiunto lo scopo - ha detto a febbraio - ovvero quello di facilitare il rapporto tra le istituzioni per individuare le cosiddette zone chiare per l'impiantistica futura". Sarà, la realtà sembra diversa: la Regione continua a chiedere al Comune di indicare il luogo che ospiterà la discarica. Il Comune, che la discarica non la vuole, continua a dire che lo deve indicare la Regione. Toccherebbe a onor del vero alla Città Metropolitana, quindi sempre e comunque a Virginia Raggi. Che latita. A dirlo è stato lo stesso ministro Costa. 

Uno stallo che grava sulla salute dei romani. Lo vediamo in questi giorni di emergenza evidente per le strade. Per la sindaca però "è in corso una guerra". Nella Capitale si combatte "la guerra dei rifiuti". Ultimo titolo di un video comparso sulla sua pagina Facebook, con musichetta apocalittica sullo sfondo, che racconta in pochi minuti di un'amministrazione "sotto scacco" dell'ecomafia. I cassonetti incendiati, i roghi tossici, tutti "segnali rivolti all'amministrazione da parte di chi vuole tornare al vecchio sistema". Quello che Roma non ha ancora capito è cosa prevede invece il sistema nuovo, quello che i criminali vorrebbero scardinare. 

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