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Venerdì, 19 Aprile 2024
Politica Laurentina / Via di Fioranello

"Chiudono i residence e io con una figlia malata finisco per strada"

Maurizio ha una figlia di cinque anni, ipovedente a causa di un tumore. E' nelle graduatorie per una casa popolare ma a causa di un reddito di poco superiore al tetto prefissato, deve lasciare la struttura. "Dove devo andare?"

Cinque anni e mezzo e ipovedente a causa di un particolare tumore agli occhi, il retinoblastoma. C'è anche la famiglia della piccola Maria (nome di fantasia) tra quelle sotto sgombero nei residence per l'emergenza abitativa per cui il Comune di Roma sta procedendo con la chiusura. “Quando ci è stato assegnato un posto nel 2011 ci era stato assicurato che entro 6 mesi, massimo 14, ci sarebbe stata assegnata una casa popolare. Sono passati cinque anni e non solo siamo ancora qui ma rischiamo di finire in mezzo a una strada” spiega il padre Maurizio. Lunedì 11 aprile alcuni agenti della polizia locale per la terza volta si sono presentati alla sua porta per effettuare lo sfratto ma il tutto è stato rimandato.

LO SCANDALO RESIDENCE - La situazione di Maurizio è un destino comune a molte famiglie che oggi vivono nelle strutture in chiusura. I Centri per l'assistenza abitativa temporanea, spesso ex uffici dislocati in estrema periferia e trasformati alla bell'e meglio in alloggi, sono strutture destinate a famiglie in emergenza abitativa, sfrattati o sgomberati da altri alloggi, e hanno pesato per circa 40 milioni di euro all'anno sulle casse comunali. Un vero e proprio scandalo che l'amministrazione Marino aveva deciso di interrompere. Parcheggiati in queste strutture per anni in attesa di una casa popolare, una soluzione alternativa permanente non è mai arrivata. E oggi in molti si ritrovano sotto sfratto.   

IL BUONO CASA - Fallito il tentativo di aprire un nuovo servizio per l'emergenza abitativa a prezzi ragionevoli, i Saat, che erano stati pensati per garantire assistenza alle famiglie meno abbienti che oggi vivono nei residence, e comunque sempre in attesa di una casa popolare, sul tavolo è rimasto solo il buono casa. Un contributo di circa 700 euro che gli inquilini possono utilizzare per prendere una casa in affitto sul libero mercato. Un meccanismo che ha riscontrato non pochi problemi per i residenti che a più riprese hanno denunciato di essersi scontrati troppo spesso contro un muro di diffidenza dei privati verso la 'garanzia' dell'ente pubblico. Un meccanismo difficilmente applicabile per famiglie che si reggono su redditi annuali di poche migliaia di euro all'anno o con contratti precari. 

LA CHIUSURA - Ma i residence vanno chiusi al più presto, quasi tutti entro l'estate. Un'operazione non semplice che, da gennaio, coinvolge 28 strutture e oltre mille famiglie. Da gennaio infatti è necessario prorogare l'attività di quelli che rimangono aperti, sempre di meno con il passare dei mesi, a fronte del fatto che la delibera licenziata nell'ottobre scorso dalla giunta Marino fissava la dead line addirittura alla fine del 2015. Chi non ha accettato il buono casa ha ricevuto, o è destinato a riceverlo, un avviso di decadenza dall'assistenza e quindi di sgombero. Anche chi supera, anche di poche migliaia di euro, il tetto dei 18 mila euro fissato per poter accedere a tali strutture, viene lasciato per strada. Una delibera regionale approvata in via definitiva a febbraio stanzia i finanziamenti per circa 1200 case da destinare per un terzo agli inquilini dei residence. Ma la graduatoria di coloro che vi potranno accedere ancora non è stata fatta. E intanto gli sgomberi, denunciano gli inquilini, sono sempre più frequenti.  

LA STORIA - Maurizio rientra tra questi. Maurizio e la sua famiglia abitavano in un'occupazione e nel 2011 il Comune, di fronte ai gravi problemi di salute di sua figlia, gli ha assegnato una sistemazione nel residence di via di Fioranello, zona Castel di Leva, a ridosso del Grande raccordo anulare. “Dopo quasi cinque anni di permanenza nel residence, in attesa di una casa popolare, con una lettera l'amministrazione capitolina mi ha comunicato che non ho più i requisiti di reddito per poter restare” spiega. Il tetto è fissato a 18 mila euro “e dal mio Cud si evince che ne percepisco 20 mila. Ma l'ammontare è lordo. Non tengono conto inoltre dell'invalidità al cento per cento di mia figlia, che mensilmente dev'essere sottoposta a delle cure, non calcolano che a carico c'è anche mia moglie”.

IN ATTESA DI UNA CASA POPOLARE - E soprattutto “non considerano che sono iscritto nella graduatoria del 2012 per l'assegnazione di una alloggio popolare: ho 39 punti” denuncia Maurizio. “Io non voglio passare davanti a nessuno, nemmeno in virtù della difficilissima situazione di mia figlia, ma mi sembra un paradosso che una famiglia che ha diritto a una casa popolare debba essere sfrattata. Se le graduatorie si sbloccassero con molta probabilità non finirei in mezzo a una strada. Con il mio stipendio posso pagare le bollette  ma non posso pagare un affitto a canoni di libero mercato”. Si chiede Maurizio: “Che alternative ho? Finire in mezzo a una strada? Tornare in occupazione? Il Comune non mi dà risposte. L'unica alternativa che mi è stata proposta è una casa-famiglia per mia figlia e mia moglie. Ma per le difficili condizioni di salute di Maria non è una soluzione accettabile. Inoltre dovrebbe interrompere in anticipo l'anno scolastico”. 

IL RICORSO AL TARMaurizio si è rivolto per ben due volte al Tar. “Per due volte il tribunale si è espresso in via provvisoria sulla richiesta di sospensione del provvedimento di decadenza dall'assistenza alloggiativa, rigettandola entrambe le volte. Ma non si è ancora espresso in via definitiva con una sentenza” spiega l'avvocato di Maurizio, Pio Centro. Il primo ricorso era stato avanzato da un precedente avvocato e in questo il Tar aveva stabilito che “in virtù della presenza della minore il Comune di Roma avrebbe dovuto approntare un piano di sostegno alla famiglia” continua il legale. “Con il secondo ricorso abbiamo portato motivi aggiunti: secondo una normativa regionale relativa agli alloggi Erp, 18 mila euro è il tetto massimo per accedere a tali strutture ma il limite che fissa la decadenza per chi è già dentro è superiore del 40 per cento”. La difesa in sintesi: “Una cosa sono i limiti di reddito per l'accesso, un'altra quelli per stabilire la decadenza. E secondo noi i residence dovrebbero essere paragonati agli alloggi erp”. Entro l'estate si discuterà il secondo ricorso al Consiglio di Stato. In attesa di avere una risposta lo sfratto potrebbe essere eseguito da un momento all'altro. 

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