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Il razzista di periferia è il miglior amico del sindaco Marino

L'OPINIONE - I quartieri romani chiedono risposte e scendono in piazza, ma a far notizia sono le manifestazioni dopo i fatti di Corcolle. Razzisti e violenti: così vengono descritti i cittadini. Una definizione utile a chi governa perché spegne la rabbia, ma assai lontana dalla realtà

Da dieci giorni i riflettori di tv e giornali nazionali sono puntati su Corcolle. Da dieci giorni, da quando cioè l'autobus 042 è stato assaltato da un gruppo di migranti, le periferie romane sono improvvisamente piombate al centro della cronaca. Da dieci giorni i romani, soprattutto quelli che abitano a Corcolle, sono diventati razzisti. Da dieci giorni c'è un sindaco, quello della Capitale d'Italia, che puo' finalmente respirare. I problemi delle periferie, quelli veri, sono spariti, nascosti dai rifugiati e dal presunto razzismo dei romani.

Abbiamo avuto modo di raccontare quel che sta accadendo a Corcolle. Lo ribadiamo con chiarezza. Non c'è nessuna caccia al nero. Non c'è nessun quartiere razzista o violento, non c'è nessuna banlieu pronta ad esplodere. C'è tanta esasperazione sì, ma la colpa non è degli immigrati. Qui, come altrove, a far arrabbiare i residenti è il senso di abbandono, l'isolamento, il disinteresse delle istituzioni. Si preferisce raccontare e indignarsi per fantomatiche ronde, ignorando che qui, ai confini del VI municipio, il fai da te è la risposta per tutto. Dalla buca, allo sfalcio dell'erba fino alla raccolta rifiuti, i cittadini di Corcolle fanno tutto da soli.

Nel tempo dal Pigneto a Corcolle, passando per Torpignattara e Torre Angela, e senza ignorare anche altri territori lontani dalla direttrice Casilina, i problemi sono tanti, tantissimi, e sono tutti stati messi sul tavolo. Il sindaco e la sua giunta spesso, quasi sempre, li hanno ignorati, arrivando a disertare incontri quando non ad allontanare i cittadini.

Da qui la rabbia e le proteste, i blocchi sulla Casilina e in altre zone di Roma. Nessuna caccia al nero, ma indignazioni dal basso, non politicizzate, rimaste inascoltate ed evaporate, mediaticamente parlando, quando è spuntata l'ombra del razzismo, quando giornali e istituzioni hanno cominciato a bollare come xenofobe e fasciste le manifestazioni. Sia chiaro i fascisti in alcune 'rivolte' c'erano per davvero. Una minoranza, le solite bandiere, le solite facce. I cittadini però ogni volta sono riusciti a isolarli. I romani sono infatti dotati di anticorpi per riconoscere e mettere all'angolo xenofobi e fascisti. Sono i fatti di questi mesi a dirlo. Il primo a provarlo sulla propria pelle è stato il leghista Borghezio, cacciato dalle mamme della Pisacane, autentico monumento all'integrazione nel cuore di Torpigna. Poi è toccato ad altri quartieri. Il copione lo stesso: non appena sono spuntate svastiche, saluti romani o celtiche di infiltrati, i movimenti si sono sciolti.

Questo perché i romani odiano i razzisti che invece sono purtroppo utili a chi governa.

Già perché bollare come razzista chi protesta è diventato un modo per spegnere la rabbia, per respirare, promettere, mettere una toppa provvisoria, come si fa con l'asfalto pieno di buche, in attesa della prossima esplosione di rabbia. I problemi però restano, si accumulano e nessuno li affronta. Così il Pigneto rimane il regno dello spaccio. A Torpignattara comanda il degrado. A Corcolle le strade continueranno ad allagarsi. A Ponte di Nona i rifiuti a non essere raccolti. E così via.

In nessuna di queste zone la gente ha chiesto o urlato via i neri, via i rom etc etc. Qui sono le risposte che mancano, è il confronto, l'ascolto, il dialogo. Si preferisce la fuga, il silenzio, l'insabbiamento dei problemi. Si preferisce lasciar bollare i propri cittadini come razzisti, lasciarli in balia della Lega venuta dal Nord o del sobillatore di turno, piuttosto che provare a parlare e a spiegare perché  c'è un problema e come si sta lavorando per risolverlo.

Si potrebbe ad esempio dire che per i rom vengono spesi ogni anno milioni di euro, ma che se si desse loro una casa popolare si spenderebbe la metà, con la possibilità di spendere la metà che resta per migliorare la città. Si potrebbe ad esempio dire che i migranti, tanto odiati, sono lì di passaggio perché non è Roma il loro approdo finale. Si potrebbe poi dire, mettendoci la faccia, che la periferia non è diversa dal centro e che si sta lavorando per ridargli nuova dignità. In pratica si potrebbero esporre delle idee, delle risposte, quello che fa, o dovrebbe fare, un politico insomma. Si potrebbe (e dovrebbe!) smantellare quell'economia dell'emergenza, oggi diventata il nuovo parastato, la nuova municipalizzata.

Niente invece. Le periferie devono essere le discariche di problemi, dove presentarsi ogni tanto con un po' di asfalto per tappare una buca, o dove programmare una visita avendo cura di far ripulire dai rifiuti per non fare brutte figure con le telecamere. O peggio dove presentarsi ogni cinque anni, raccontandosi come il risolutore dei problemi ignorati.

La gente è stufa di questo. Non è razzismo, non è grillismo, non è odio. E' esasperazione. Si puo' scegliere di affrontarla e di dare delle risposte o di dargli una definizione di comodo per prendere fiato. In questo bivio c'è la Scelta, rigorosamente con la S maiuscola, a cui è chiamato il sindaco Marino con la sua maggioranza. Le periferie romane, con i loro problemi, quelli veri, lo aspettano al varco. Non è speculazione politica, non è razzismo. E' Roma anche questa, caro sindaco.

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