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Venerdì, 19 Aprile 2024
Politica

Piani di zona il grande caos diventato truffa

Viaggio nei quartieri di edilizia agevolata della Capitale

Maria, 93 anni, vive da quasi 14 in una casa costruita in edilizia agevolata a Osteria del Curato. Si tratta di un piano di zona, un quartiere realizzato su terreni del Comune e finanziato in parte con soldi erogati dalla Regione proprio perché destinato a famiglie con redditi bassi. I costi della palazzina dove abita Maria, per esempio, sono stati coperti all'80 per cento con oltre 2 milioni e mezzo di euro dietro il vincolo di essere affittata a prezzi ribassati e a lungo termine a persone con più di 65 anni. Nonostante queste agevolazioni Maria, negli anni, ha versato 28mila euro di affitto in più rispetto al dovuto e oggi si ritrova con un contratto scaduto e un appartamento di proprietà di una cooperativa in liquidazione coatta amministrativa. “Alla nostra età pensavamo di esserci sistemati”, racconta. “Invece riceviamo ogni mese un bollettino che ha per oggetto ‘indennità di occupazione’. Come facciamo a stare tranquilli?”.

A Roma centinaia di persone stanno affrontando difficoltà abitative nonostante vivano in case costruite grazie a un piano di investimenti pubblici. Solo negli ultimi vent’anni la Regione Lazio ha messo a bando fondi per questo scopo per un miliardo e 400 milioni di euro. Non tutte le assegnazioni hanno generato problemi ma la mappa dei quartieri dove le finalità sociali dell’intervento non sono andate a buon fine coinvolge decine di palazzine e migliaia di persone. Non c’è solo il problema degli affitti con importi vicini a quelli richiesti sul libero mercato. In molti piani di zona chi non è più riuscito a pagare è stato sfrattato; opere pubbliche come strade e fogne non sono state terminate; le cooperative sono andate incontro a fallimenti o pignoramenti da parte delle banche con vendite all’asta degli appartamenti.

Le modalità di affitto o di vendita di queste abitazioni sono regolate dalla legge. In cambio degli aiuti pubblici le cooperative e le imprese di costruzione beneficiarie dei finanziamenti e dei terreni hanno firmato con il Comune di Roma delle convenzioni contenenti una serie di vincoli, come il prezzo agevolato, e le rispettive sanzioni in caso di mancato rispetto.Tra quest’ultime figurano la decadenza del diritto ad utilizzare i terreni o la revoca dei finanziamenti. Al termine di questa procedura gli appartamenti vengono iscritti nel patrimonio comunale. Il primo a fare un passo in questo senso è stato il Campidoglio a guida Movimento cinque stelle. Nel marzo del 2017 ha approvato la prima decadenza della convenzione per il piano di zona Tor Vergata dove 8 famiglie rischiavano lo sgombero. Ad oggi le decadenze firmate sono quattro. “Siamo intervenuti approfondendo gli accertamenti su 14 piani di zona che hanno portato o porteranno a decadenze e sanzioni”, ha spiegato l’assessore all’Urbanistica di Roma Capitale, Luca Montuori. Che ammette: negli anni passati “è mancato il controllo da parte del Comune”.

Nel novembre del 2019 anche gli uffici urbanistici della Regione Lazio hanno approvato le prime due revoche dei finanziamenti a due operatori che hanno costruito a Colle Fiorito e Monte Stallonara. “Abbiamo riscontrato incongruenze e irregolarità amministrative. Presto ne arriveranno altre”, le parole dell’assessore regionale all’Urbanistica, Massimiliano Valeriani. “Ora questi soldi verranno girati al Comune di Roma per concludere le procedure di acquisizione degli immobili al patrimonio”.

Questo però è solo l’ultimo atto. Tra il 2013 e il 2014, proprio come accaduto a Maria, gli inquilini residenti in oltre 1700 abitazioni dei piani di zona si sono visti decurtare gli affitti. Questo perché dall’importo finale, elaborato dalle cooperative e approvato dai funzionari comunali, non era stato sottratto il finanziamento pubblico. In molti casi a far lievitare questa cifra di un ulteriore 20 per cento sono state migliorie apportate agli appartamenti e alle palazzine che, per legge, dovevano essere espressamente richieste dagli assegnatari. Non sempre è avvenuto. In qualche quartiere le migliorie dichiarate non sono nemmeno state realizzate. Molte cooperative non hanno mai depositato i piani finanziari. I calcoli sbagliati sono stati frutto di “un mero errore”, si legge nelle lettere inviate in autotutela dal Campidoglio a 80 operatori per un totale di oltre 41 milioni di euro di soldi pubblici non sottratti.

La risposta delle istituzioni cittadine, che oltre ad aver erogato finanziamenti e assegnato terreni, avrebbero dovuto controllare il rispetto delle convenzioni sottoscritte con le cooperative edilizie, arriva a quasi dieci anni dalle prime proteste. A sollevare lo tsunami nel 2010 sono state le denunce dei cittadini: “Ci hanno contattato dicendoci di vivere in case di edilizia agevolata che costavano tanto quanto appartamenti a libero mercato. Ci si è aperto un mondo”, ricorda Angelo Fascetti del sindacato Asia Usb.

Da allora la magistratura ha aperto diversi fascicoli di indagine. Oggi i procedimenti penali a carico di ex vertici di cooperative e imprese di costruzione sono 28. In quattro casi si è arrivati a processo, in due all’udienza preliminare e in altri tre è stata notificata la chiusura delle indagini. Il principale reato ipotizzato è truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. In due di questi procedimenti, insieme agli ex vertici delle cooperative, risultano indagati per abuso d’ufficio o omissione di atti d'ufficio anche due funzionari comunali che hanno approvato le tabelle degli affitti. In un caso il giudice per l’udienza preliminare ha inoltre ammesso Comune e Regione sia come parte lesa sia come responsabili civili per un possibile “omesso controllo”.

A difendere centinaia di inquilini in tutta Roma, insieme al sindacato Asia Usb, è l'avvocato Vincenzo Perticaro: “Le convenzioni sono stipulate con il Comune e sono tutti atti registrati. Nessuno può dire di non conoscerli. Contengono le regole da rispettare da parte dei pubblici ufficiali del Comune e della Regione preposti al controllo. Come evidenziato dalla Procura, in molti piani di zona, le cooperative o le società sono state utilizzate per finalità distorte. Società già strutturate partecipavano a bandi per il finanziamento e poi recuperavano inquilini per farli diventare soci al fine di poter affittare o comprare quelle case". Poi aggiunge: "È opportuno ricordare che nel prezzo massimo di cessione c'è anche il costo delle opere di urbanizzazione. Perché, se gli inquilini hanno pagato, tali opere non sono state fatte? E perché il Comune e la Regione non mai hanno controllato? Non da meno il problema riguarda le società che hanno subito pignoramenti o sono state messe liquidazione: come faranno a completare i piani di zona o restituire i fondi ricevuti?".

Dopo l’abbassamento dei canoni molte cooperative hanno dichiarato fallimento o non sono più riuscite a pagare i mutui contratti con le banche che hanno avanzato richieste di pignoramento. A Osteria del Curato la cooperativa che ha costruito il palazzo di via Achille Capizzano dove vive Maria è in liquidazione coatta amministrativa. Il Comune di Roma deve ancora ricevere oltre 400mila euro di opere di urbanizzazione. La banca 580mila euro di mutui non pagati. Le cifre non dovute versate dai 27 inquilini ammontano a oltre 700mila euro. Un elenco a cui si aggiungono i 2 milioni e 600 mila euro di fondi erogati dalla Regione.

Il commissario liquidatore, in coordinamento con il ministero dello Sviluppo Economico che ha il compito di vigilare sulle cooperative, sta tentando di raggiungere un accordo tra i vari creditori e di vendere questi immobili, a un prezzo massimo di cessione ribassato delle cifre già versate. L'obiettivo è farli acquistare dai parenti fino al terzo grado degli anziani che, vista la loro età e le pensioni basse, non potrebbero mai ottenere un mutuo in banca. Regione e Comune stanno chiedendo che queste case vegano vendute a prezzi massimi di cessione e che i nuovi proprietari siano vincolate ad affittarle a costi agevolati. Quest’ultimo passaggio, però, è ancora oggetto di confronto tra le parti perché il vincolo dell’affitto, in casi come questi, è considerato dal liquidatore già decaduto. Molti aspetti sono ancora da definire. E intanto gli anziani, che pensavano di aver trovato un'abitazione per la loro vecchiaia, aspettano di capire dove finiranno.

“Stiamo affrontando numerosi casi di fallimento le cui caratteristiche sono diverse da palazzo a palazzo. A volte i debiti accumulati sono superiori al valore degli immobili. Mi chiedo come sia stato possibile accettare mutui così alti”, racconta Montuori. Nei casi di fallimento il Comune non interviene con le decadenze. “Puntiamo a tutelare gli inquilini. Interverremo solo nel caso in cui chi comprerà all’asta non rispetterà i vincoli previsti”. Quest’ultima richiesta spetta alla Regione Lazio. “Stiamo cercando di intervenire in tutti i fallimenti trovando soluzioni pratiche per tutelare il fine sociale che giustifica l’uso di queste risorse”, ha spiegato Valeriani. Le vendite possono avvenire, spiega, “se a prezzi agevolati e se coloro che ne vengono in possesso presentano i requisiti”.

Borghesiana

A Borghesiana, un piano di zona che sorge lungo via di Rocca Cencia, per 70 appartamenti si è aperta una procedura di pignoramento. Teresa vive in una di queste case. Quando è entrata nel 2010 pagava 680 euro al mese. Dopo la revisione delle tabelle nel 2014 questa cifra è scesa a 470. “Nessuno di noi sa fino a quando potremo restare qui dentro”, denuncia. La cooperativa costruttrice, la Lega San Paolo Auto, ha ricevuto dalla Regione Lazio circa 4 milioni di euro per costruire questi 70 appartamenti. Altri 40 li ha tirati su a La Storta ricevendo altri 2 milioni e 600 mila euro. Anche per questi è stata aperta una procedura di pignoramento.

“Quando ci siamo adeguati all’abbassamento degli affitti, confermato anche dal Tar, non siamo più riusciti a pagare i mutui”, ha spiegato il presidente della cooperativa Lega San Paolo Auto, Giulio Baldoni, che per la realizzazione di questi palazzi a Borghesiana e La Storta risulta indagato con altre persone per truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche. “Ci siamo attenuti alle tabelle approvate dal Comune. Quei soldi sono serviti per permettere alle cooperative di costruire i palazzi per i soci”, la puntualizzazione. Anche queste abitazioni erano state finanziate perché dovevano essere affittate a lungo termine e a prezzi calmierati. Presto, però, il tribunale potrebbe decidere di venderle all’asta per ripagare le banche che hanno erogato i mutui per la loro realizzazione. La Regione ha chiesto di poter recuperare le somme investite e ha ricordato al tribunale i “vincoli locatizi”. Al momento, però, non è ancora certo se i contratti d’affitto degli inquilini, una volta scaduti, verranno rinnovati.

Anche Monica vive in un quartiere di case destinate alla locazione e finanziate in parte con un bando sperimentale del 2003 chiamato ‘20mila alloggi in affitto’. Il quartiere si chiama Monte Stallonara e ancora oggi parte delle sue strade è sterrata e i palazzi non hanno l'agibilità. Nel marzo del 2007 Monica ha firmato un ‘patto di futura assegnazione in locazione permanente’ con la cooperativa Monte Stallonara che aveva sottoscritto un preliminare per l’acquisto di 76 immobili da tre cooperative vincitrici del bando (Il Nido, la Acli Castelli Romani Seconda e la Acli Castelli Romani Terza) per un totale di 3 milioni e mezzo di euro di finanziamento pubblico.

Doveva essere un affitto ma ad oggi Monica, per la casa in cui vive, ha versato oltre 100mila euro. Al netto del contributo pubblico pari a 58mila euro, si legge nel contratto stipulato, l’immobile doveva costare 156 mila euro. Cifra che, nel maggio del 2016, aggiungendo spese accessorie, tasse e interessi è cresciuta fino a 220 mila euro. “Eravamo convinti che si trattasse di un acquisto. Oggi ho versato 115 mila euro e mi rimangono ancora 133 mila euro di mutuo”, racconta Monica. “In base a questi calcoli ho già superato il costo di costruzione previsto dalla Regione. Si ho avuto accesso all'edilizia agevolata è perché avevo determinati requisiti e non potevo accedere a un mutuo privato”.

Anche la modalità di assegnazione di queste palazzine è finita sotto la lente della magistratura. Per sei ex membri dei consigli di amministrazione delle cooperative coinvolte è stato chiesto il rinvio a giudizio per truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche. Con loro, accusati di abuso d’ufficio, ci sono anche un ex dirigente e un ex funzionario del Comune. Tra gli indagati c’è Gina Giuliani, ex presidente delle cooperative Acli Castelli Romani Seconda e Il Nido, che precisa: “Il prezzo di costruzione previsto dalla Regione era solo una stima iniziale. Noi dovevamo applicare i prezzi massimi di cessione approvati dal Comune”. In quanto ai costi aggiuntivi: “Si tratta degli interessi da versare alla banca e delle spese accessorie necessarie per il funzionamento della cooperativa e per l’assistenza amministrativa, contabile e legale”.

Per raccontare fino in fondo il ‘caso’ Monte Stallonara però manca ancora un tassello. Una parte di questo quartiere, infatti, potrebbe essere stata realizzata sopra una vecchia discarica abusiva di rifiuti. Ad agosto del 2019 il terreno che sorge di fronte a queste abitazioni è bruciato per giorni sprigionando nell’aria, raccontano i residenti, un forte odore di plastica incendiata. Due anni prima, nel 2017, uno scavo per la realizzazione delle fogne ha portato alla luce strati di rifiuti interrati. Eppure a individuare il terreno su cui costruire è stato il Comune di Roma con una delibera approvata dal Consiglio nel luglio del 2003. Solo due anni dopo, nel novembre del 2005, è stato necessario votare un secondo provvedimento per spostare l’area individuata per le edificazioni. Il motivo: “Nel corso della prima fase di attuazione del piano […] è emersa, in taluni comparti una situazione anteriormente completamente ignorata, riguardante la presenza in sito di una antica discarica di rifiuti solidi urbani”.

La situazione, in realtà, era nota da tempo. Lo spiega una perizia richiesta dal pm Alberto Galanti nell’ambito del procedimento penale in corso. Uno studio pubblicato nel 1990 dal Consiglio nazionale di ricerca testimonia come in quella zona le cave siano state usate come vere e proprie discariche fin dagli anni '50. Si legge nella perizia: “La pubblicazione è corredata da dettagliata cartografia in cui sono individuate le discariche rilevate nel 1990, quindi ben prima della scelta di adibire l'area per la realizzazione del piano di zona”. Il permesso a costruire viene rilasciato nell’aprile del 2006. A riguardo l’architetto che ha redatto la perizia scrive: “Il rilascio dei permessi di costruire è avvenuto in tempi ristrettissimi […] in mancanza di indagini puntuali su tutta l'area di estensione del piano di zona per la verifica di esistenza di discariche, nelle more della necessaria bonifica dei siti (ancora non eseguita), al solo scopo di rispettare la tempistica imposta […] e quindi non perdere i finanziamenti regionali”.

“Ci sono voluti dieci anni di battaglie per arrivare a far riconoscere il problema”, racconta Monica. Il 20 novembre 2019 il dipartimento Edilizia Sociale del Comune di Roma ha comunicato alle cooperative coinvolte di aver chiuso l’iter per la decadenza della concessione del diritto di superficie. Anche la Regione Lazio il 30 ottobre del 2019 ha comunicato l’intenzione di revocare il finanziamento erogato con il bando. Una volta ottenuto il via libera dall’Aula Giulio Cesare quei terreni, e tutto ciò che è stato costruito sopra, verranno acquisiti al patrimonio capitolino. I tempi dell'operazione, ancora, non si conoscono. E a Roma, una città con un disagio abitativo che coinvolge almeno 30mila persone, centinaia di famiglie hanno problemi con una casa realizzata grazie a investimenti pubblici. 

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