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VIDEO | Occupazioni sotto sgombero, dal palazzo Inps di Porta Pia: "Senza casa da qui non usciamo"

Siamo entrati dentro una delle occupazioni più "antiche" di Roma. A Porta Pia vivono più di 60 nuclei familiari in un palazzo dell’Inps che ora, come gli altri, rischia di essere sgomberato

Le centinaia di persone che ogni giorno passano sul marciapiede di fronte al civico 108 di corso d’Italia lo notano raramente. Dietro al pesante portone di legno scuro, infilato tra i due ingressi del cinema Europa, c’è una delle più ‘anziane’ tra le circa sessanta occupazioni a scopo abitativo della Capitale.

Piazzale di Porta Pia è a circa cento metri di distanza e dalle finestre degli appartamenti ricavati dagli ex uffici dell’Inpdap, oggi di proprietà Inps, si può vedere il traffico che lo attraversa senza soste per tutta la giornata. L’occupazione, nata nel 2007, è nel mirino da tempo. “L’Inps, proprietaria dello stabile, ha ottenuto dal Tribunale di Roma il sequestro preventivo dell’immobile” spiega Matthias, uno degli occupanti. “Il municipio ha intavolato una trattativa ma ancora non è chiaro dove ci porterà”. Soprattutto dopo la pubblicazione della circolare del Viminale del 1 settembre che “rende possibili gli sgomberi anche senza aver individuato prima le soluzioni alternative”. 

Da mercoledì 12 settembre i rappresentanti del municipio e gli operatori sociali del comune, insieme alla Polizia locale, inizieranno il censimento delle sessanta famiglie presenti nell’occupazione, circa 140 persone in totale. I minorenni, tra cui anche alcuni bambini piccoli, sono una quarantina. “Le occupazioni sono disponibili ad aprirsi al dialogo. Nessuno occupa per divertimento e tutti preferiremmo una soluzione abitativa stabile e definitiva. Un punto però dev’essere chiaro: senza soluzioni noi da qui non usciamo”.

Il Movimento per il diritto all’abitare, negli appelli che chiamano alla mobilitazione, l’ha definita “legittima difesa”. Anche sulle modalità con cui verranno effettuati i censimenti c’è molta apprensione: “Rimandiamo al mittente la categoria della fragilità. Non possiamo condividere il principio per cui solo chi è malato o ha figli piccoli e nessun parente a cui appoggiarsi ha diritto ad un’abitazione. Chiediamo una cosa semplice: chi rientra nei parametri di reddito ha diritto ad una casa popolare”. Gli abitanti dell’occupazione di Corso d’Italia 108 sono una piccola fetta del disagio abitativo romano, che conta circa 30 mila persone senza casa o con sfratti e pignoramente pendenti. Di queste, oltre 11 mila sono in lista per l’assegnazione di una casa popolare. “Le famiglie che vivono nelle occupazioni fanno parte di questo elenco, solo non potevano più aspettare per strada o hanno avuto il coraggio di organizzarsi e occupare sostenendo una vita costantemente sotto sgombero”.

Tra loro c’è Saly. È originaria dell’Egitto ma i suoi primi ricordi sono in Italia. Nove anni fa si è trasferita nel palazzo di corso d’Italia 108 da un piccolo appartamento di Torre Maura. Aveva 13 anni. “Quando mio padre è morto di tumore al pancreas io, mia madre e le mie sorelle, che al tempo avevano 9 e 17 anni, siamo rimaste sole” ricorda. “Vivere solo con la pensione di mio padre ci aveva messo di fronte a un bivio: continuare a pagare l’affitto o mangiare”. Hanno deciso di occupare. “Non mi sono mai pentita di questa scelta. Questa occupazione è come un rifugio dove è cresciuta una comunità che si aiuta a vicenda. Soprattutto per le persone più deboli uno sgombero non significa solo restare per strada ma anche rimanere soli, isolati”. Oggi Saly ha 22 anni e mantiene la sua famiglie insieme alla sorella di 28. Pagare un affitto sul libero mercato, però, è rimasto impossibile. “Questo non significa forse essere fragili?”.  

Silvia, originaria della Bolivia, è entrata nell’occupazione ‘di Porta Pia’ nel 2007, tra le prime famiglie. “Il palazzo era stato abbandonato da anni e alcune delle stanze erano piene di polvere e scartoffie accatastate”. Ricorda le difficoltà dei primi giorni: “Dormivamo in tredici persone in una stanza. La stessa dove cucinare e cambiarsi. I bagni, in comune, erano pochissimi”. Oggi Silvia, il marito e le due figlie di 5 e 3 anni vivono in due stanze. Su un soppalco in cucina è stata ricavata un’area per i giochi ma la sola camera è una sola, così vicino al letto matrimoniale dove dorme con il marito c’è il letto a castello per le due figlie.

“Dal 2007 ad oggi non c’è mai stato un periodo in cui i nostri stipendi da muratore e donna delle pulizie precari ci abbiano messo nelle condizioni di poter affittare regolarmente una casa” racconta. “Non abbiamo alternative. I parenti di cui parla la circolare del Viminale non sono un’alternativa. Penso alla sistemazione di mia cognata, impossibile vivere insieme”. Mentre parliamo le sorelle si rincorrono tra le due stanze ridendo rumorosamente. “Vorrei tanto poter sapere il giorno prima quando ci sarà lo sgombero. Vorrei non fargli vivere il risveglio con la polizia in assetto antisommossa e i blindati fuori dalle nostre finestre e tutti noi arrabbiati, barricati qui dentro nel tentativo di difendere l’unico posto che abbiamo dove stare”.

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