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Intervista | Azzola (Cgil): "Basta parlare solo di razzismo, il problema sono le disuguaglianze"

Tra i firmatari della campagna cittadina 'Uno di noi' anche il segretario regionale della Cgil di Roma e del Lazio

“Basta parlare solo di razzismo, il problema di questo Paese è la disuguaglianza sociale”. Michele Azzola, segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio, riassume così le motivazioni che lo hanno portato a firmare l’appello ‘Uno di noi. Una di noi’ per lanciare una manifestazione cittadina il prossimo 10 novembre. Povertà, disuguagliaze e razzismo, i temi all'ordine del giorno. Un appello già sottoscritto da oltre 250 persone, da operatori sociali ad avvocati, da sindacalisti a studenti passando per pensionati, occupanti, rifugiati, precari e attivisti dei diritti sociali. La manifestazione cittadina del 10 novembre sarà il nodo nevralgico di un percorso che passerà prima dall’assemblea pubblica di sabato 6 ottobre, alle ore 15 in piazza Vittorio Emanuele, e nei giorni seguenti per le mobilitazioni contro sfratti e sgomberi e per politiche più inclusive del 10 e del 13 ottobre, la prima data con un presidio davanti alla Prefettura, la seconda con un corteo. E ancora il 17 ottobre quando, in occasione della giornata mondiale per l'eliminazione della povertà, la Rete dei numeri pari presenterà una serie di proposte per chiedere al Governo e al Parlamento contro disuguaglianze e povertà. 

Quali sono le urgenze che hanno portato un’organizzazione sindacale come la Cgil a sostenere attivamente questa mobilitazione? A chi vi rivolgete?

L’urgenza nasce dal fatto che la discussione del Paese è falsata dall’idea che da un lato ci siano i razzisti e dall’altro i non razzisti. Invece, secondo noi, il problema risiede nel fatto che negli ultimi 15 anni sono stati effettuati tagli alle politiche sociali che hanno creato le condizioni per far star male le persone. Siamo convinti che se le persone ricevono risposte alle loro esigenze non sono indisponibili ad accogliere chi è in difficoltà. Anzi. Lo vediamo anche nelle occupazioni (il 29 settembre all'occupazione di Casal Boccone è stato inaugurato un teatro e uno spazio culturale in collaborazione con la Rete dei numeri pari a cui era presente anche Azzola, ndr) dove famiglie italiane e straniere convivono accomunate da condizioni economiche difficili. Con la manifestazione del 10 novembre vogliamo dire che è ora di smettere di parlare di razzismo ma della condizione delle persone. Una condizione di esasperazione che provoca paura, odio e rigetto verso gli ultimi. Perché la gente, senza adeguate politiche sociali e abitative, senza un trasporto pubblico che funziona, senza veder riconosciuti bisogni primari come la sanità, è spaventata.  

Sta dicendo che dovremmo concentrarci di più a parlare di disuguaglianze e non di razzismo? 

Questa società ha prodotto disuguaglianze che hanno veramente impoverito le persone. E queste persone non sono razziste, sono solo spaventate. Prendiamo per esempio quanto accaduto qualche mese fa al Trullo dove un intero condominio insorse per difendere una famiglia italiana dallo sfratto da una casa popolare che sarebbe dovuta essere assegnata ad una famiglia straniera. Se io fossi stato residente in quel condominio e avessi frequentato quella famiglia credo che mi sarei mosso anche io in sua difesa. Ma non sarebbe stato un gesto contro gli immigrati. È questo il ragionamento che dobbiamo riportare in campo. Bisogna ripartire dalle esigenze delle persone. 

Le parole d’ordine di questo appello sembrano parlare al Paese del governo gialloverde. Quella del 10 novembre sarà però una manifestazione cittadina che chiamerà alla mobilitazione realtà che lavorano sul territorio di Roma. Avete un messaggio da lanciare anche alla sindaca Virginia Raggi?

Assolutamente sì. L’amministrazione Raggi ha dimostrato di essere inadeguata: non ha chiuso il piano del sociale, non riesce a spendere quelle poche risorse che ha a disposizione per il sociale e per l’edilizia scolastica, il trasporto pubblico locale è la cenerentola di questa città, qualsiasi iniziativa sulle periferie è stata, di fatto, paralizzata. Proprio in periferia si scaricano tutte le contraddizioni prodotte da questa situazione, con gli immigrati accampati nelle tendopoli e i rifiuti per le strade che fanno arrabbiare le persone. Il governo di questa città non sta lavorando per ridurre le disuguaglianze. Anzi, sta bloccando qualsiasi attività che vada in questo senso, trincerandosi dietro a una legalità che di per sé non è sufficiente a far vivere bene le persone. 

Per dare forza a questo evento avete scelto una sottoscrizione nome per nome e non ‘per realtà’. Perché questa scelta?

Per dire che ci sono delle persone che ci mettono la faccia. Poi naturalmente anche le organizzazioni saranno coinvolte, ma firmando con i nostri nomi e i nostri cognomi vogliamo dire che non ci trinceriamo dietro a nulla. Ogni persona si prende la responsabilità di sostenere questo appello per disegnare un’Italia migliore. 

Su questi stessi passi si stanno muovendo da tempo molte realtà cittadine, prima tra tutte la Rete dei numeri pari che va da associazioni come Libera al Movimento per il diritto all’abitare. Che ruolo occupa in questo scenario, secondo lei, un sindacato come la Cgil?

Spero che il sindacato abbia la capacità di dare visibilità a questa iniziativa e di unire soggetti che fanno tanto per la città ma che spesso sembrano invisibili. Realtà che se unite sono un elemento prezioso, la vera forza di questa società. Da anni mettono in campo iniziative importantissime ma pressoché sconosciute all’opinione pubblica. Speriamo così di poter dare forza a un percorso che mette insieme soggetti diversi con visioni differenti ma un obiettivo comune: rendere questa società meno diseguale.  

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