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Coronavirus, l'appello delle associazioni: "Chiudere i grandi centri per migranti, meglio l'accoglienza diffusa"

La preoccupazione: "Non sono oggettivamente idonee a garantire il rispetto delle prescrizioni legali"

Chiudere le strutture con grandi concentrazioni di richiedenti asilo, dai Cas ai Cara passando per gli hotspot e i Cpr, sostituendole con un sistema di accoglienza diffusa in quanto “non sono oggettivamente idonee a garantire il rispetto delle prescrizioni legali e la salvaguardia della salute sia dei e delle richiedenti asilo, sia dei lavoratori e delle lavoratrici dell’accoglienza e pertanto la salute collettiva”. È l’appello che arriva da un documento lanciato dall’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e da ActionAid e sottoscritto da un lunghissimo elenco di realtà italiane, tra cui molte romane, attive nella difesa dei diritti dei migranti e dei diritti umani in generale di fronte all'emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Coronavirus.

Per chi scrive le strutture che ospitano decine se non centinaia di persone non possono garantire adeguate misure di sicurezza, dal distanziamento sociale all’isolamento. “Nel caso dei Cara o dei Cas con capacità ricettive di decine o centinaia di posti, la permanenza degli ospiti è spesso organizzata all’interno di moduli abitativi/container/camerate da oltre 10 posti”, si legge nel documento. “I servizi di distribuzione  dei pasti sono organizzati all’interno di spazi collettivi dedicati (es. mense), che possono rappresentare un terreno fertile per la diffusione del virus, costituendo quelle ‘forme di assembramento’ vietate dalla normativa vigente. Anche la fruizione dei servizi igienici, generalmente insufficienti a rispondere alle esigenze di un numero rilevante di persone, è segnata dalle medesime criticità”.

Non solo. Nonostante le Prefettura “abbiano diramato indicazioni ai responsabili dei CAS, chiedendo di assicurare l'adozione di tutte le iniziative necessarie all'applicazione delle prescrizioni dicarattere igienico-sanitario previste”, queste comunicazioni “non sono accompagnate dalla puntuale fornitura dimascherine e disinfettanti personali, né da una sanificazione costante dei locali”. Così gli operatori delle strutture si ritrovano a fronteggiare senza strumenti e indicazioni chiare la necessità di garantire sia la propria sicurezza sia quella degli utenti nei centri.

L’emergenza Coronavirus va ad incidere inoltre in una situazione complessa che ha visto nell’ultimo anno una riduzione dei servizi offerti all’interno dei centri, in particolare la presenza delle figure sanitarie, dai medici agli infermieri. A questo si aggiunge, viene spiegato ancora nel documento, la difficoltà di accesso al sistema sanitario nazionale per i richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale. Tutti elementi che rendono ancor più difficoltoso individuare eventuali casi di contagio così da prendere le dovute precauzioni.

Altra problematica sottolineata nel documento è rappresentata dai “moltissimi cittadini stranieri che hanno ricevuto un diniego alla richiesta di protezione internazionale o hanno perso il titolo di soggiorno e sono costrette a vivere ai margini della società”. Continua il documento: “Anche per queste ragioni, sono moltissimi i cittadini stranieri senza fissa dimora o costretti a vivere negli insediamenti informali, nelle aree urbane o nelle aree rurali, caratterizzati da precarie condizioni igienico-sanitarie e disagio abitativo”. Queste condizioni di vita “rendono molto difficile - se non impossibile - sia il rispetto delle misure previste dai decreti, sia la messa in atto delle misure di prevenzione della diffusionedel contagio”.

A preoccupare sono anche le condizioni degli hotspot e dei Cpr “ove un numero elevato di persone vive in condizioni di promiscuità, spesso incondizioni sanitarie precarie, in assenza di adeguati presidi sanitari interni ai centri frequentati da persone che vivono all’esterno”. Nel Cpr di Ponte Galeria, a Roma, per esempio sono recluse una quarantina di donne e una settantina di uomini. “Appare del tutto evidente che un contagio all'interno dei CPR o degli hotspot avrebbe conseguenze drammatiche, non potrebbe essere affrontato con misure di isolamento dei soggetti che risultassero contagiati, sia in quanto non sono normativamente previste aree siffatte, sia perché significherebbe concentrare in condizioni di promiscuità, in aree isolate e con privazione dei diritti fondamentali, un numero sempre maggiore di trattenuti contagiati”.

Per questo il documento non si limita alla denuncia ma avanza un lungo elenco di proposte al governo per fronteggiare questo momento di crisi. In cima alla lista “chiudere tutti i centri di accoglienza straordinaria di media e grande dimensione, organizzando un sistema di accoglienza diffusa”. Nel frattempo “definire e diffondere specifici protocolli digestione dei casi positivi in strutture collettive”. Questo “comporta la necessità di prevedere la possibilità di accogliere gli ospiti identificati come ‘contatti’ in adeguate strutture in grado di erogare l’assistenza di cui necessitano, con la sostituzione di tutti gli opertori che, in quanto‘contatti’, sono nel frattempo entrati in una misura di isolamento domiciliare fiduciario”.

Nel documento si chiede inoltre di “autorizzare l’accesso alle strutture di accoglienza operanti nell’ambito del Siproimi (la dicitura che ha sostituito i precedenti Sprar)” nell’ottica dello “smantellamento dei grandi centri a favore dell’accoglienza diffusa”. Allo stesso modo viene richiesta la “sospensione della decorrenza dei termini per le dimissioni delle persone in accoglienza,con proroga di almeno 6 mesi, a partire dal termine dell’emergenza Covid-19, per ledimissioni programmate nei progetti Siproimi”.

E ancora: “Autorizzare l'accesso a strutture di accoglienza adeguate, tali da evitare situazioni di sovraffollamento, per chi è senza fissa dimora o vive negli insediamenti rurali”. Altra richiesta: disporre “l’immediata sospensione di ogni nuovo ingresso nei Cpr e negli hotspot e che vengano disposte anche nei confronti dei soggetti già trattenuti nei Cpr le misure alternative”. Infine: "Predisporre specifici percorsi  di prevenzione e tutela che prevedano la diffusione  dimateriale informativo multilingue dentro e fuori ai centri di accoglienza".

Il documento affronta inoltre una serie di problematiche e relative proposte legate ai procedimenti amministrativi relativi ai migranti, dai rilascio o di rinnovo del permesso di soggiorno ai rimpatri che, nonostante l'emergenza e le difficoltà di spostamento non sono stati sospesi. Non viene tralasciato il tema degli sbarchi e delle operazioni di salvataggio in mare rese più complicate dalle misure di sicurezza imposte dall'emergenza Coronavirus:  La richiesta: "Predisporre misure che, in caso di necessità, consentano la rapida concessione di un porto sicuro per lo sbarco dei profughi soccorsi in mare nonché l’adozione diprovvedimenti finalizzati a tutelare la salute di operatori e persone soccorse".

Così le conclusioni: "La ricognizione proposta testimonia quanto sia necessario e urgente farsi carico, in un contesto di crisi generalizzata, anche dei diritti delle/i cittadine/i straniere/i. Così come le politiche migratorie sono tutt’altro che asettiche e imparziali, anche le iniziative del Governo per contrastare gli effetti dell’epidemia non sono politicamente neutre: è necessario fare in modo che siano all’altezza della composizione attuale della nostra società".

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