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Martedì, 19 Marzo 2024
Politica

De Vito, revocare o no il presidente agli arresti: grillini ancora spaccati

Oggetto di discussione nell'ultima riunione di maggioranza, i consiglieri restano divisi

Revoca sì, revoca no, revoca forse. Dall'affaire De Vito non se ne esce. Il presidente dell'Assemblea capitolina, agli arresti per corruzione dal 20 marzo in un filone dell'inchiesta sullo stadio della Roma, resta formalmente in carica, seppur sospeso temporaneamente da un decreto prefettizio. Ma il tema è ancora oggetto di dibattito acceso tra i consiglieri, prova ne è la riunione di maggioranza della scorsa settimana, che ha visto la questione per l'ennesima volta all'ordine del giorno. 

A prendere il posto di De Vito c'è il consigliere Enrico Stefàno, da poco dimessosi dalla carica di presidente della commissione Mobilità. I lavori dell'Aula quindi vanno avanti senza particolari intoppi, per il momento. Stefàno però, sulla carta, resta il vice, con il solo esponente di opposizione, Francesco Figliomeni (FdI), quale possibile suo sostituto in caso di assenza. Un quadro instabile sul piano organizzativo, con l'Ufficio di presidenza ancora da riscostituire. Senza contare l'opportunità politica di una possibile e definitiva, "cacciata".  

Da qui la spaccatura tra chi, Stefàno in primis, vorrebbe andare al voto, e mettere una volta per tutte alla porta il presidente accusato di corruzione, e chi invece preferisce non rischiare contenziosi. Perché il nodo è tutto lì, nero su bianco in un parere del Segretariato generale che frena dal prendere decisioni "politiche". Il regolamento d'aula prevede la revoca del presidente solo per illeciti legati all'esercizio delle sue funzioni. Valicare il recinto posto dalla norma mette a rischio i singoli eletti a ricorsi che il presidente una volta terminata la misura cautelare, potrebbe facilmente vincere. D'altro canto lui stesso, dalla cella di Regina Coeli, non ha dato alcun segnale distensivo in questo senso. 

Non solo ha dichiarato in una lettera inviata alla sindaca e ai consiglieri M5s di non volersi dimettersi. Ma ha anche espresso tutto il suo disappunto, è un eufemismo, in un recente colloquio con la dem Patrizia Prestipino che lo ha incontrato nel penitenziario. Secondo quanto riportato sulla cronaca romana di Repubblica, l'ex M5s sarebbe abbastanza avvelenato contro chi, da amico dichiarato, non ha fatto un passo verso di lui. Cita anche consiglieri M5s romani. Con i quali insomma potrebbe avere intenzione di rivalersi, non appena si troverà nelle condizioni di poterlo fare.

Meglio non rischiare quindi, l'ipotesi di finire in tribunale non piace a nessuno. "La normativa non permette la revoca" taglia corto al telefono il capogruppo M5s Giuliano Pacetti. Idem il consigliere Andrea Coia: "Non ci sono novità su questo". Come a dire, non cambiamo idea. Ma la questione, un vero cul de sac, resta calda. E spacca i grillini. "Ci sono indubbiamente delle divergenze di vedute" spiega chi preferirebbe affondare il colpo, non solo per questioni meramente amministrative, ma anche - e forse soprattutto - per quelle ideologiche. I duri e puri della prima ora, intransigenti sulla questione morale, vorrebbero lanciare un segnale. Anche perché il parere del Segretariato non vieta nulla, e nei riferimenti giurisprudenziali viene anche citato anche un caso in cui un Comune ha proceduto con la strada del danno d'immagine all'ente. Un percorso definitivo "innovativa", ma pur sempre possibile.

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