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Castel Romano, c'è il bando per la chiusura del campo rom: due anni di tempo e un milione e mezzo di euro di fondi comunali

On line la gara per affidare l'iter di smantellamento del villaggio, con inclusione nel tessuto sociale delle famiglie. Fin'ora il modello adottato dal Comune è stato un flop

Si parte dal prossimo 1 dicembre, con previsione in due anni di smantellare l'area e avviare le famiglie a percorsi di inclusione sociale. E' on line da una settimana il bando per la chiusura del villaggio rom di Castel Romano. Il maxi campo sulla via Pontina, il più grande d'Europa con circa un migliaio di residenti, sarà il terzo in città su cui verrà sperimentato il modello di superamento a Cinque Stelle. L'obiettivo, si legge nel disciplinare di gara, "è sostenere percorsi relativi alla fuoriuscita degli ospiti dal villaggio"

Da una parte avviando tirocini e corsi di formazione professionali volti ad acquisire la piena autonomia di singoli e famiglie, dall'altra sul fronte abitativo, fornendo strumenti di sostegno: dal bonus affitto fino a 800 euro per due anni da utilizzare per locazioni sul mercato privato, alle case popolari, ai rimpatri volontari assistiti. Di mediare accompagnando gli abitanti in tutti i passaggi necessari ad abbandonare le baracche si occuperà la cooperativa o realtà associativa che vincerà il bando. Tra i compiti previsti anche la "mappatura dei profili sociali dei singoli e dei nuclei, delle risorse e del capitale sociale del campo". Oltre alla gestione di servizi dedicati ai minori specie sul fronte della scolarizzazione. 

Tempo previsto per la chiusura definitiva: 24 mesi, "decorrenti e continuativi dal 1 dicembre 2019 al 30 novembre 2021". La restituzione dell'area alla Regione Lazio, con avvenuta bonifica ambientale, è fissata al 18 giugno 2022. L'importo a base di gara, di un milione e 500mila euro, stavolta finanziato con risorse del bilancio comunale e non dell'Europa, come nei casi dei campi di Barbuta e Monachina, dove è in corso lo stesso iter di chiusura ma coperto da fondi europei del Pon Metro (Programma operativo nazionale Città Metropolitane). Dove tra l'altro lo stesso modello Raggi non sta dando i frutti sperati, specie per quanto riguarda la ricerca di un alloggio alternativo e lo strumento del buono affitto, vera novità delle politiche abitative rivolte alle famiglie rom. 

Perché sul fronte abitativo il modello Raggi non funziona

A bocciare il contributo mensile fino a 800 euro al mese erogato dal Campidoglio per aiutare i nuclei, ci hanno pensato i numeri contenuti in un report dello scorso marzo firmato dall'ex dirigente del dipartimento alle Politiche sociali, Michela Micheli. Nessun abitante de La Barbuta, dove il piano di gestione è in mano alla Croce Rossa di Roma, ha utilizzato il buono. Zero nuclei su circa 80 che hanno accettato di collaborare con il Comune per lasciare le baracche e ricevere assistenza, ha trovato una casa in locazione sul mercato privato. Per due ordini di ragioni. Il primo, intuibile: trovare un affittuario disposto a stipulare un contratto con famiglie che non hanno alcuna stabilità economica a garanzia,  se non quella dell'ente pubblico che, se tutto va bene, versa le quote a contratto firmato, mese per mese e senza alcun anticipo, è un'impresa al limite dell'impossibile. Il secondo: agli abitanti conviene molto di più fare domanda per le case popolari. Con i criteri di assegnazione vigenti, la famiglia "tipo" proveniente da un campo (numerosa e in condizioni di grave emergenza abitativa) ha buone possibilità di ottenere posti alti in lista e di ottenere un tetto senza attese eterne. 

  

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