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Cambia la legge: "Anche i proprietari di ville possono vivere nelle case popolari"

I sindacati degli inquilini denunciano che il 'collegato' al bilancio approvato in Consiglio regionale il 6 agosto modifica i requisiti per l'assegnazione di alloggi pubblici

"Anche i proprietari di ville possono restare nelle case popolari". Non è una rivendicazione al contrario ma la conseguenza, denunciata dai sindacati degli inquilini, di un emendamento approvato ad agosto dal Consiglio regionale del Lazio finito nel calderone delle migliaia di emendamenti del cosiddetto 'collegato' al bilancio, la legge (la n.12 del 10 agosto del 2016) che contiene le "Disposizioni per la semplificazione, la competitività e lo sviluppo della Regione", approvata all'alba di una lunga sessione notturna il 6 agosto scorso. 

Denunciano in una nota Guido Lanciano di Unione Inquilini, Claudio Di Reto di Sunia, Paolo Ricucci di Sicet e Patrizia Beheman di Uniat Asp: "Dal 12 agosto 2016 in poi, ai fini della decadenza dal diritto alla casa popolare, sono considerate solo le proprietà immobiliari dell’assegnatario e non anche quelle degli altri componenti del nucleo familiare, qualunque ne sia il numero e qualunque valore abbiano, e dunque non sono più preclusive dell’ampliamento in favore dei nuovi componenti". 

Nel mirino l'articolo 27 della legge in questione che modifica una precedente legge regionale (la n.12 del 6 agosto del 1999) che disciplina le "funzioni amministrative regionali e locali in materia di edilizia residenziale pubblica”. L'articolo, in sintesi, esonera i componenti del nucleo familiare dall'obbligo di rispettare il requisito di non possedere altre abitazioni, obbligo che nella precedente formulazione della legge doveva essere garantito, limitandolo al "richiedente", ovvero a colui che avanza la domanda di una casa popolare.

In particolare il requisito, recita: "Mancanza di titolarità di diritti di proprietà, usufrutto, uso ed abitazione su alloggio adeguato alle esigenze del nucleo familiare nell'ambito territoriale del bando di concorso e nel comune di residenza, qualora diverso da quello in cui si svolge l'attività lavorativa e, comunque, nell'ambito del territorio nazionale, su beni patrimoniali di valore complessivo superiore al limite definito nel regolamento di cui all'articolo 17, comma 1". In altre parole, il figlio o il coniuge dell'intestatario dell'assegnazione della casa popolare può essere il proprietario di un'altra abitazione senza che questo faccia perdere il diritto all'assegnazione.

Secondo quanto denunciano i sindacalisti, viene così modificato anche "il censimento biennale previsto dalla legge per il controllo dei redditi degli assegnatari, poiché non andranno più inserite le informazioni sul patrimonio immobiliare dei componenti del nucleo familiare". Continua la nota: "La medesima legge, inoltre, amplia la possibilità del rientro dei figli eliminando i precedenti limiti. Con queste norme approvate dal Consiglio Regionale non sarebbe stato possibile, ad esempio, revocare l'alloggio popolare al marito dell'ex presidente Polverini".

La conseguenza, per i sindacati, sarà l'allungamento dei tempi di attesa per l'assegnazione di alloggi pubblici, già biblici per una città come Roma che vede in attesa migliaia di persone. "Cosa diranno ora le migliaia di famiglie inserite nelle graduatorie per l’assegnazione di una casa pubblica, cosa inventeranno le forze politiche regionali che hanno votato il provvedimento? La Regione, che con questo provvedimento ha di fatto allungato moltissimo i tempi di attesa per l’assegnazione di un alloggio popolare, intende coprire questo fabbisogno, con un piano di investimenti pluriennali per nuova edilizia economica popolare?". 

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