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INTERVISTA | La Basf cambia e vola in Usa: "Ci saranno licenziamenti, ma Roma rimarrà un polo d'eccellenza"

Per capire meglio cosa accadrà all'impianto di via di Salone, dopo la decisione di delocalizzare negli Stati Uniti le attività di trattamento dei catalizzatori esausti, Romatoday ha intervistato il direttore della Divisione Catalizzatori Roberto Spaggiari

La Basf Roma, a partire dal mese di gennaio 2016, trasferirà le attività di trattamento e raffinazione dei catalizzatori esausti a Seneca, negli Stati Uniti. Da una parte le ricadute occupazionali per i dipendenti, dall'altra le proteste dei comitati ambientalisti. Per capire cosa accadrà all'impianto di via di Salone, Romatoday ha intervistato Roberto Spaggiari, direttore della Divisione Catalizzatori. 

Quale tipo di attività verrà trasferita e perché avete preso questa decisione?

Nello stabilimento romano attualmente esistono più tipi di produzioni. Abbiamo deciso di chiudere quella relativa al trattamento dei catalizzatori esausti. Una scelta dettata dalla necessità di ottimizzare la produzione sulla base di un'analisi di mercato. Lo stabilimento di Seneca, negli Stati Uniti, per la nostra azienda costituisce una sorta di hub per la lavorazione dei metalli preziosi. Lì è disponibile una capacità di produzione che abbiamo deciso di massimizzare. 

Cosa resta a Roma?

Ci concentreremo sulla produzione di nuovi catalizzatori, sali e soluzioni a base di metallo prezioso e attività di laboratorio. Proprio nel 2015 a Roma abbiamo investito su questo settore con nuovo personale e apparecchiature con tecnologie recenti. Già l'anno scorso sono state trasferite qui attività da altre parti d'Europa. Da questo punto di vista siamo un'eccellenza. Rimarranno anche i laboratori per testare i nuovi prodotti e rispondere alle esigenze dei clienti. 

L'attività verrà effettuata in altre sedi in Italia o in Europa oppure trasporterete negli Stati Uniti tutto il materiale da trattare?

È stata delocalizzata negli Stati Uniti, mentre Cinderford, in Inghilterra, sarà un hub europeo per il trasferimento dei materiali. Anche se i rifiuti non passeranno più dalla capitale, Roma rimarrà punto di riferimento per i servizi di customer service.

Una delle preoccupazioni per la città riguarda i lavoratori. Il trasferimento avrà ricadute occupazionali?

Si, ci saranno. A riguardo speriamo di cominciare al più presto un percorso con le sigle sindacali in modo da lavorare per rendere questo processo il più indolore possibile. L'azienda metterà in campo tutti gli strumenti in suo possesso per ridurre l'impatto di questa delocalizzazione. Tra le possibilità in campo, lo spostamento in altri stabilimenti italiani del gruppo. 

Secondo fonti non ufficiali, il numero si aggira attorno alle 60 unità, circa un terzo della forza lavoro totale. Conferma?

Preferiremmo non avanzare cifre in questo momento. Una stima esiste, ma vorremmo prima sottoporla ai sindacati. Quel che possiamo anticipare è che riguarda gli impiegati nelle attività di trattamento e raffinazione, oltre a quelli che lavorano nelle funzioni di supporto collegate a quest'ultime.

Da una parte i lavoratori, dall'altra le proteste ambientaliste dei cittadini che puntano il dito contro l'inquinamento della zona. Ha inciso anche questo aspetto sulla vostra decisione?

Assolutamente no. La prima interrogazione parlamentare per fare luce sul nostro stabilimento risale al 1999. Se fosse stato per le proteste ce ne saremmo dovuti andare molto prima. La nostra è una scelta strategica. Inoltre, le ultime indagini ambientali e sanitarie effettuate dall'Istituto superiore di sanità, richieste come prescrizioni necessarie per ottenere le autorizzazioni, confermano che l'impianto non genera problemi di questa natura.

Non crede però che le preoccupazioni dei cittadini siano condivisibili? 

L'azienda ha sempre trattato con la massima attenzione le questioni ambientali che non consideriamo solo una prerogativa dei comitati. Anzi. Ci teniamo a rivendicarla come nostra. Non vogliamo avere alcun dubbio in merito alla possibilità che l'impianto possa aver causato danni ambientali e per questo sosterremmo con piacere un confronto con i cittadini. Se tra un anno un altro studio dimostrasse che i livelli di inquinamento sono uguali o superiori, avvalorando così la tesi che l'impianto non è responsabile dell'inquinamento della zona, non sarebbe di certo una notizia positiva per noi. Non dimentichiamoci che i primi a respirare quell'aria, forse ancor più dei residenti, sono i nostri dipendenti. Da parte nostra c'è sempre stata la massima attenzione.

Per il futuro siete tranquilli in merito al fatto che i livelli di inquinamento non si abbasseranno?

Non ci interessa dimostrare che abbiamo ragione grazie al mantenimento di livelli alti di inquinamento. Ci auguriamo che si trovino le cause e che questi livelli calino ma sappiamo benissimo che gli inquinanti rimarranno gli stessi. Su questi punti, comunque, preferiremmo avere un confronto con i comitati. L'accusa di emissione dei cattivi odori ne è un esempio.

Può spiegare meglio?

Siamo stati accusati per anni di emettere cattivi odori. Abbiamo però sempre rigettato al mittente queste denunce perché stando all'interno dello stabilimento non si sentiva nulla. Inoltre negli ultimi anni abbiamo ricevuto circa 170 visite ispettive da parte degli enti deputati al controllo e mai nessuno ha sostenuto che la causa era la Basf. Spesso l'accusa ci veniva mossa in periodi in cui i venti spiravano in direzione opposta o addirittura a impianto spento. Per questo il confronto con i comitati sarebbe importante. 

I comitati hanno contestato anche lo studio dell'Istituto Superiore di Sanità. 

L'azienda può essere aperta al dialogo con i cittadini per capire meglio le motivazioni. Può sollecitare le istituzioni per effettuare più controlli possibili. Ma non può chiedere conto all'Istituto superiore di sanità su come ha effettuato i controlli. Tra i punti contestati c'è anche la collocazione delle centraline. Ricordiamo che non sono state installate arbitrariamente ma seguendo quanto prescritto dalla legge. 

Con la delocalizzazione dell'attività oggetto di contestazione, vi sentite più tranquilli in futuro dal punto di vista ambientale?

L'ambiente continuerà ad essere al centro delle nostre attenzioni. Ricordo inoltre che la vicinanza dell'azienda alle case è una situazione che abbiamo subito con il passare del tempo. 

Sta dicendo che le case sono arrivate dopo?

Decenni dopo. La Basf ha aperto nel 1957. Si tratta di uno stabilimento insalubre di prima classe e può essere equiparato a una carrozzeria industriale. Dovrebbe avere una fascia di rispetto di 200 metri. Molti meno rispetto ad altri stabilimenti classificati con rischio 'Seveso'. E questo la dice lunga sul grado di pericolosità dello stabilimento. In ogni modo, il regolamento comunale che imponeva la fascia di garanzia non è stato rispettato. 

Nel 2013 la Provincia di Roma vi aveva concesso un aumento di quantità e un'estensione di qualità del materiale da trattare ma parte dell'autorizzazione è stata bloccata dal Tar in seguito a un ricorso dei cittadini. Questo stop ha influito sulla vostra decisione di delocalizzazione? 

No, non ha inciso. Ripeto, la decisione è frutto di una verifica economica degli stabilimenti che effettuiamo ciclicamente. 

È difficile mantenere un'impresa del genere a Roma?

Le difficoltà non sono legate al fatto che l'impianto si trovi all'interno della città, direi che sono intrinseche al tipo di business. Muovere tonnellate di metalli preziosi è complicato sotto diversi punti di vista. Il fatto che i tempi spesso si siano prolungati oltre i termini di legge non aiuta. In quanto alle proteste dei comitati invece, Roma costituisce un caso isolato. 

Ci sono altri stabilimenti così vicini alle case?

Si. Quello principale si trova in Germania, a Ludwigshafen. Lì ci lavorano 33 mila persone e lo stabilimento è lungo 6 chilometri. È nel centro della città. Nessuno ha mai protestato perché con i residenti è stato aperto un dialogo. Ci auguriamo accada la stessa cosa anche a Roma, noi siamo disponibili ad aprire le porte dello stabilimento. Poi, naturalmente, ognuno è libero di continuare a pensarla come vuole.

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