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Barikamà, la cooperativa romana dei "braccianti resistenti" di Rosarno

Dalle campagne di Rosarno al Ministro Martina, il riscatto dei giovani africani di "Barikamà"

Coltivazione di verdura stagionale e produzione di yogurt. Tutto rigorosamente biologico, consegnato in bici e venduto nei mercati a chilometro zero della Capitale, oppure attraverso i Gas (Gruppi di acquisto solidale) in tutto il Lazio.

Se in mancanza di un lavoro, e quindi di un sostentamento per la propria vita, diventa importante farsi venire “l'idea giusta”, i fondatori della cooperativa agricola sociale Barikamà l'hanno trovata. Ma non solo. A rendere la loro impresa ancora più forte e singolare, è proprio la loro storia di riscatto: come richiedenti asilo prima, da ex braccianti sfruttati nelle campagne calabresi di Rosarno poi.

Ma il "segreto" di questi cinque ragazzi africani, e il loro socio romano, sta proprio nel nome della coop messa in piedi nel 2011: “Barikamà”, che in lingua bambarà significa "resistente". Ovvero "resistere" alle difficoltà, allo sfruttamento, all'esigenza di una vita migliore. Quella forza che li ha portati a vincere il bando di confagricoltura lo scorso Natale, ottenendo 50mila euro da reinvestire in attrezzi agricoli per incrementare la produzione, per poi essere ricevuti dal ministro all'Agricoltura Maurizio Martina.

Ma a distanza di quasi sette anni dalle rivolte dei braccianti di Rosarno, quelle che fecero emergere per la prima volta le condizioni di "schiavitù" dei giovani profughi nelle campagne del sud Italia, per Suleman Diaria, 32 anni del Mali, tra i fondatori della coop, il ricordo è ancora molto forte: "Lavoravamo 12 ore nei campi per poi ricevere solo 20 euro che spendevamo per sopravvivere – racconta -, abitavamo dentro le fabbriche abbandonate, o baracche di fortuna. Non potevamo uscire al sera perché avevamo paura di essere aggrediti, quello che poi accadde a due nei nostri compagni e per i quali siamo scesi in piazza".

Oltre a Sulman, fanno parte di Barikamà anche Sheik Diop 30enne senegalese, il 38enne Ismail Mauwa del Benin, Aboubakar Sidibè e Sidiki Konè, di 34 e 22 anni entrambi del Mali. A loro si è poi aggiunto anche Marco Ventura, 25enne romano.

“Una volta arrivato in Italia mi hanno messo prima in un centro di accoglienza a Cassibile, in Sicilia, per poi mettermi in mano un foglio di via, malgrado fossi un richiedente asilo – continua Suleman –. Da lì alcuni amici mi hanno convinto ad andare a lavorare a Rosarno perché 'tanto i documenti qui non servono', e così ho fatto, rimanendoci due anni”.

Ed è proprio dall'esperienza di Rosarno che è nata Barikamà. “Certo, almeno così ci 'auto sfruttiamo', ma per noi stessi”, dice sorridendo. Poi le rivolte, l'arrivo a Roma e le notti alla stazione Termini. Fino a quando un gruppo di attivisti della Ex Snia, su via Prenestina, ha deciso di accoglierli tra le mura dell'ex fabbrica occupata e dargli una mano. "Una volta ottenuto il permesso di soggiorno umanitario abbiamo deciso di mettere in piedi questa impresa facendo 15 litri di yogurt alla settimana, ora siamo a circa 200. Mentre dal 2014 abbiano iniziato la coltivazione di ortaggi spostando la nostra sede operativa nella campagna di Martignano".

Con lui un gruppo di amici con cui ha condiviso gioie e dolori da quando ha messo piede nel Bel Paese. "Essere ricevuto dal Ministro è stato soddisfacente – conclude – speriamo di continuare su questa strada e crescere ancora, riuscendo magari ad aiutare anche tanti fratelli che ancora soffrono nelle campagne del sud".

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