Vittoriano, Altare della Patria o simbolo del Fascismo? I tre volti di un monumento
Che immagine ha il cittadino romano o più in generale l’italiano dell’Altare della Patria?Probabilmente, la convinzione più diffusa è che esso sia il monumento di autocelebrazione del regime fascista per eccellenza, quello che maggiormente stigmatizza l’aspetto architettonico del Ventennio e la realizzazione plastica delle sue ambizioni imperialistiche.
Un monumento che da sempre suscita sentimenti alterni: da un lato profondo amore e rispetto, e dall’altro, se non proprio odio quanto meno fastidio perché vissuto come sopruso e distruzione di un’area di Roma di immensa bellezza. Tra i vari appellativi che gli sono stati riservati il meno ingiurioso è quello di “scrivania”.
Tanti gli abbattimenti e gli sventramenti che furono necessari per realizzare quest’opera, la maggior parte dei quali viene imputata per intero al regime fascista, che in realtà procedette ad una sorta di “appropriazione indebita”, vale a dire un’operazione propagandistica che riscosse indubbiamente un enorme successo: ancora oggi la vulgata comune riconosce nell’Altare della Patria un monumento voluto da Benito Mussolini.
In realtà, quando nel 1922, i fascisti arrivano al potere, l’imponente mole bianca era già in costruzione dal primo gennaio del 1885. E si chiamava il “Vittoriano”, perché edificato innanzitutto per celebrare la morte di Vittorio Emanuele II di Savoia, l’amatissimo re dell’Unità d’Italia, ma anche per ricordare gli ideali risorgimentali e gli uomini che si erano sacrificati in nome dell’Unità d’Italia.
Il Parlamento Italiano, dopo aver bandito due concorsi internazionali (1880 e 1882), scelse il progetto presentato da Giuseppe Sacconi: il giovane architetto marchigiano, sul modello dei grandi santuari dell'età classica, aveva concepito lo spazio come una rappresentazione scenica che celebrasse, al centro della Roma imperiale, il Risorgimento italiano. La struttura architettonica del monumento fu elaborata come un percorso ascendente ideale che attraverso le scalinate e i terrazzamenti, arricchiti dai diversi gruppi scultorei e dai bassorilievi del centrale Altare della Patria, si innalzasse ai Templi laterali e da questi al grandioso Portico colonnato sormontato dalle quadrighe in bronzo, allegorie dell'Unità della Patria e della Libertà. Pur se iniziati nel 1885, i lavori procedettero lenti e il progetto fu continuamente modificato. Lo stesso materiale col quale doveva essere costruito, il travertino, fu sostituito col bianchissimo botticino bresciano. Tra il 1885 ed il 1910, tutta l’area alle pendici del Campidoglio fu interessata dal nuovo assetto urbanistico che vide la demolizione dei preesistenti quartieri medievali e rinascimentali. Per una migliore visuale del monumento furono spostati anche il Palazzetto Venezia e la Chiesa di Santa Rita. Alla morte del Sacconi, nel 1905, i lavori furono diretti dagli architetti Gaetano Koch, Manfredo Manfredi e Pio Piacentini. Il 4 giugno 1911, in occasione dell'Esposizione Internazionale per il cinquantenario dell’Unità d’Italia, Vittorio Emanuele III inaugurò la grandiosa statua equestre in bronzo dorato. Nel 1921 nella cripta progettata da Armando Brasini, fu tumulata la salma del Milite Ignoto.
Fra il 1924 ed il 1927 sui Propilei furono posizionate la Quadriga dell'Unità, di CarloFontana, e la Quadriga della Libertà, di Paolo Bartolini. Solamente nel 1935, però, i lavori poterono considerarsi conclusi.
I lavori del più grande cantiere di Roma di fine Ottocento, dunque, si erano dilatati nel tempo anche per motivi tecnici e difficoltà strutturali non previsti in fase progettuale. Proprio per questo, il monumento si ingigantì allontanandosi via via dall’idea architettonica e celebrativa iniziale.
Quando il partito fascista arriverà al governo il monumento era già lì, in buona parte realizzato, anche già inaugurato. Non restava altro che appropriarsene. Prima di allora c’era stata la Prima Guerra Mondiale che avrebbe contato, alla fine, 1.240 vittime italiane tra militari e civili. Emerse, in quel preciso momento storico, l’esigenza di rendere il doveroso omaggio alla vittime.
Così il Vittoriano, che doveva celebrare inizialmente i valori risorgimentali, cambia “destinazione d’uso” in memoria dei caduti. Non si poteva più solo celebrare il re Vittorio Emanuele II, ma anche la patria che era uscita vittoriosa dalla sua prima vera prova patriottica anche se a carissimo prezzo.
Si decise allora che il Vittoriano conservasse le spoglie di un milite ignoto assumendo il ruolo di Altare della Patria. Nel passaggio dal 1800 al 1900 intanto, lo stile, la sensibilità artistica, il gusto cambiano: il neoclassicismo italiano si tinge di verismo, ma emergono anche nuovi fenomeni artistici come il liberty di derivazione europea. È il momento de La Belle Epoque, il movimento artistico e di costume che si afferma in Germania e in modo particolare in Austria, dove il nuovo sentire assume la definizione di “Secessione Viennese”, e di cui Klimt è l’esponente di maggior spicco. E tutto questo non manca di far sentire le sue influenze anche in Italia.
Diversi artisti si sentiranno attratti da questa maniera di fare arte, ed anche in Italia si produrranno alcuni fenomeni analoghi, come la “Secessione di Roma” del 1913. Forse potrà sembrare un po’ strano, ma tutte queste novità artistiche e culturali trovano la loro citazione all’interno dell’arte decorativa del Vittoriano/Altare della Patria.
Il Vittoriano-Altare della Patria è un monumento che segna un passaggio tra due epoche storiche, artistiche e sociali. Le Vittorie alate che con profusione vengono utilizzate come elemento decorativo e di celebrazione, perderanno le loro fattezze classiche, per assomigliare a donne borghesi della Bella Epoque.
Guardando con occhio attento si troverà citato il Michelangelo della Cappella Sistina accanto a Klimt. Poiché, in definitiva, la stessa Dea Roma sta, maestosa e fiera, davanti ad un mosaico tutto d’oro assolutamente inconcepibile se il vento della Secessione Viennese non fosse spirato fino in Italia.