Lo zoo di vetro di Tennessee Williams al Teatro di Documenti
LO ZOO DI VETRO Note di regia
"Che brutti scherzi fa la memoria!" dice nel secondo atto uno dei personaggi del dramma. Lo diciamo anche noi, a volte, riferendoci al fatto che spesso ciò che crediamo di ricordare nei dettagli è invece mancante di alcuni pezzi, come un puzzle mai finito.
Nel caso di Tennessee Williams la memoria è la via che il dolore sceglie per perpetuarsi, riproporsi all'infinito, in un'incessante rievocazione. I fatti della vita, in particolare della prima giovinezza di Williams, e cioè il suo rapporto con la madre dispotica, con la sorella adorata e troppo fragile, con i propri sensi di colpa per aver abbandonato entrambe nel momento in cui avevano maggiormente bisogno di lui, vengono rievocati dalle parole poetiche e quotidiane, liriche e quiete di questo testo teatrale, che sa di lacrime e di pane, e che tanto deve alla notte in cui sembra essere immerso.
Nel simbolo delicato che Williams sceglie per il titolo, la collezione di animaletti trasparenti e leggerissimi che oppongono una resistenza tanto tenue da lasciarsi attraversare dalla luce, si adombra il destino degli esseri umani che procedono indifesi nella vita, ciechi come falene attratte dalla fiamma che ne brucerà le ali, raminghi come rondini che anelano al riposo, ma che non possono posarsi sulla terra, o non spiccheranno più il volo. Quegli esseri umani dietro i quali, in trasparenza, si vede il bambino che sono stati, irraggiungibili perché troppo soli, fiduciosi nella gentilezza degli estranei, e che un nulla basta a stordire.
Rosario Tronnolone