La vita ferma: sguardi sul dolore del ricordo al Teatro India
Scrittura in scena con Lucia Calamaro, autrice e regista romana dallo sguardo inesorabile, ma che resta sempre leggero ed efficace nello scandagliare la psiche umana. Considerata anello di congiunzione tra teatro e letteratura, il suo è un talento irrequieto e prolifico, sussultante e pervasivo, che non abbandona mai l’attenzione sulla singolarità della “vita”, dentro quelle vicende quotidiane in cui si snodano flussi di coscienza, intimi fantasmi, scavi lucidi e struggenti, ma divertiti e tragici allo stesso tempo.
Così, dal 3 al 21 maggio il Teatro di Roma le dedica una “personale” nell’ambito della rassegna Ritratto d’artista, presentando al Teatro India un trittico attraverso cui declinare il suo percorso creativo. Dall’ultimo spettacolo LA VITA FERMA (dal 3 al 14 maggio), che porta in scena lo strappo irriducibile tra i vivi e i morti, una riflessione sul dolore-ricordo di chi non c’è più, profondamente reinventato da chi invece vive; alla riproposta di due precedenti lavori, L’ORIGINE DEL MONDO (dal 16 al 18, vincitore di tre Premi Ubu nel 2012) e TUMORE (dal 19 al 21). Un attraversamento dentro la sua scrittura che parla una lingua autoriale, fluviale, esplosiva, dove il pensiero e l’inconscio sono contemporaneamente ascoltabili.
Si inizia con LA VITA FERMA: Sguardi sul dolore del ricordo (dramma di pensiero in tre atti), dal 3 al 14 maggio, dove il “ricordo” è il cuore pulsante dello spettacolo che accoglie e sviluppa il problema della difficile e dolorosa gestione interiore dei morti. Un’indagine sulla sensazione che le perdite lasciano in ognuno di noi, su quelle reminiscenze che la nostra mente rielabora.
«Una riflessione aperta sul lutto che ne deriva – racconta la regista – la cui elaborazione non è detto sia l’unica soluzione, anzi, là dove una certa vulgata psicologizzante di malcerte origini freudiane comanda, esige, impone di assegnare il più velocemente possibile al proprio desiderio un oggetto nuovo per rimpiazzare l’oggetto perso, forse è lì che interviene un racconto, anche uno piccolo come questo, pratica del singolare per antonomasia, a sdoganare il diritto di affermare la tragica e radicale insostituibilità di ogni oggetto d’amore perso, di ogni persona cara scomparsa». Uno spazio mentale dove si inscena uno squarcio di vita di tre vivi qualunque – padre, madre, figlia – attraverso l’incidente e la perdita.