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Cultura

La poetica di Trilussa

Carlo Alberto Camillo Massimo Salustri è stato un poeta non solo di dialetto romano. La sua poetica è ancora attuale

Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri, in arte Trilussa, è stato il poeta romano più conosciuto ed apprezzato insieme al Belli. Rinchiudere le sue poesie soltanto nell'orizzonte della poesia dialettale sarebbe però un errore, così come vedere solamente un lato della sua poetica così sfaccettata.

ALL'OMBRA

Mentre me leggo er solito giornale
spaparacchiato all’ombra d’un pajaro,
vedo un porco e je dico: — Addio, majale! —
vedo un ciuccio e je dico: — Addio, somaro —
Forse ‘ste bestie nun me capiranno,
ma provo armeno la soddisfazzione
de potè di’ le cose come stanno
senza paura de finì in priggione.

Sicuramente la maggior produzione trilussiana parla in maniera polemica ed ironica di temi politici e sociali. Sono tantissime le poesie antifasciste ("All'ombra" appunto), contro il razzismo e contro le guerre. Il poeta romano visse entrambi i conflitti mondiali, anche se morì poco dopo il secondo, nel 1950. Oltre queste tematiche però, c'è la parte più intima e crepuscolare di Trilussa. Quando parla d'amore, della vita e del tempo, Carlo Alberto mette spesso da parte l'ironia e la polemica.

BOLLA DE SAPONE

Sai che cos'è una bolla di sapone?
L'astuccio trasparente di un sospiro.
Uscita dalla canna vola in giro,
ballonzolando senza direzione,
per farsi dondolar, come che sia,
dall'aria stessa che la porta via.

Una farfalla bianca, un certo giorno,
vedendo quella palla cristallina,
che rifletteva come una vetrina
tutte le cose ch'essa aveva attorno,
le andò incontro e la chiamò: - Sorella!
Fatti ammirare! Oh, come sei bella!

Son bella, si, ma duro troppo poco.
La vita mia, che nasce per un gioco
come la maggior parte delle cose,
sta chiusa in una goccia. Tutto quanto
finisce in una lacrima di pianto.

Un perfetto esempio del Trilussa più intimo  è "Bolla de Sapone", una delle sue poesie più belle. Un altro tema caro al poeta è la religione che per Carlo Alberto non doveva avere un destinatario preciso ma doveva essere un mezzo per credere in qualcosa. Non credente in senso stretto ma nemmeno contro la fede a prescindere, il suo pensiero era decisamente originale e moderno.

ER CECO (divisa in 4 parti)

Su l’archetto ar cantone de la piazza,

ar posto der lampione che c’è adesso,

ce stava un Cristo e un Angelo de gesso,

che reggeva un lumino in una tazza.

Più c’era un quadro indove una regazza,

veniva libberata da un ossesso,

ricordo d’un miracolo successo,

sbiadito da la pioggia e da la guazza.

Ma una bella matina er propietario,

levò l’archetto e tutto quer che c’era,

pe dallo a Spizzichino, l’antiquario.

Er Cristo agnede in Francia e l’Angeletto

lo presa una signora forestiera,

che ce guarnì la cammera da letto.

***

E adesso l’Angeletto fa er gaudente,

in una bella cammeretta rosa,

sculetta e ride ne la stessa posa,

co l’ale aperte, spenzieratamente.

Nun vede più la gente bisognosa,

che je passava avanti anticamente,

dar vecchio stroppio ar povero pezzente,

che je chiedeva sempre quarche cosa.

Nemmanco j’aritorna a la memoria

quer ceco c’ogni giorno, a la stess’ora,

je recitava la giaculatoria.

Nemmeno quello! L’Angeletto antico,

adesso regge er lume a la signora

e assiste a certe cose che nun dico.

***

Er ceco camminava accosto ar muro,

pe nun pijà de petto le perzone,

cercanno co la punta der bastone,

ch’er passo fusse libbero e sicuro.

Nun ce vedeva, poveraccio, eppuro,

quanno sentiva de svortà er cantone,

ciancicava la solita orazzione,

co l’occhi storti in quell’archetto scuro.

Perchè s’aricordava da cratura,

la madre je diceva:” Lì c’è un Cristo,

preghelo sempre e nun avé paura”.

E lui, ne li momenti de bisogno,

lo rivedeva, senza avello visto,

come una cosa che riluce in sogno.

***

Da cinque mesi, ar posto der lumino

che s’accenneva pe l’Avemmaria,

cianno schiaffato un lume d’osteria,

cor trasparente che c’è scritto: “Vino”.

Ma er ceco crede sempre che ce sia

er Cristo, l’Angeletto e l’artarino,

e, ner passà, se ferma, fa un inchino,

recita un Paternostro e rivà via…

L’ostessa, che spessissimo ce ride,

je vorebbe avvisà che nun c’è gnente,

ma quann’è ar dunque nun se sa decide.

In fonno – pensa – quanno un omo prega,

Iddio lo pò sentì direttamente,

senza guardà la mostra de bottega.

"Er Ceco" (titolo originale senza la i) è considerata da molti critici il suo capolavoro.

Sicuramente conosciuto come poeta dialettale, Trilussa andrebbe approfondito e visto come figura che ha anticipato i tempi odierni. Le sue poesie sono attuali nel 2018 come lo erano allora.

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