rotate-mobile
Cultura

Le sei statue parlanti di Roma

Le Statue Parlanti sono probabilmente la migliore espressione della romanità antica: verace, satirica, sfacciata e irriverente, soprattutto nei confronti del potere e delle sue ostentazioni

Posizionate in vari luoghi del centro della Capitale, le Statue Parlanti nacquero in epoca pontificia quando il popolo cominciò ad appendere al collo di queste sculture cartelli con scritte satiriche, invettive e dialoghi umoristici mirati a deridere vari personaggi pubblici, tra i quali spesso anche il Papa, ovviamente rigorosamente di autori anonimi.

Presto i romani cominciarono a dare dei nomi a queste statue come Madama Lucrezia, il Facchino, l’Abate Luigi, il Babuino, il Marforio e il più famoso, il Pasquino.

Originariamente dovevano essere molte di più, ma solo sei sono giunte a noi, meglio conosciute all’epoca come il Congresso degli Arguti. Non solo statue, ma “eroi” dalla lingua lunga con i quali Roma si è opposta all’arroganza e alla corruzione dei nobili e del clero attraverso l’arma dell’umorismo.

La più nota è quella del Pasquino che dal 1501 si trova nello slargo che ha preso il suo nome, alle spalle di Piazza Navona. Si tratta del torso di una figura maschile probabilmente risalente al III secolo a.C. Il malconcio stato non permette di stabilire con esattezza chi rappresenti, ma forse deve essere la raffigurazione del re Menelao che trascina via Patroclo o ancora un gladiatore, una divinità o un eroe. Anche del nome si sa poco, si ipotizza che la statua sia stata rinvenuta presso un’osteria il cui proprietario si chiamava, appunto, Pasquino.

La sua “voce” si sente attraverso le pasquinate, ovvero satire, denunce e invettive, ma anche poesie e rime canzonatorie. Sicuramente ricorderete la pasquinata «Quello che non fecero i Barbari, lo fecero i Barberini» diretta a Papa Urbano VIII Barberini che fece togliere a Bernini la copertura bronzea del Pantheon per la realizzazione del baldacchino nella Basilica di San Pietro.

“Nun te se vede che la bocca sola, con una smorfia quasi strafottente…”

Pasquino borbottò: “Segno evidente che nun ho detto l’urtima parola!”

Un’imponente statua parlante si trova nel cortile dei Musei Capitolini ed è conosciuta come il Marforio. Probabilmente rappresenta l’allegoria del Tevere o del suo affluente, il Nera. È stata rinvenuta nel Cinquecento nel Foro di Augusto, davanti al tempio di Marte Ultore da cui pare prenda il nome (Mar-Foro). Conosciuto come la “spalla” di Pasquino, gli poneva domande riguardo problemi sociali e politica, e l’altro gli rispondeva a tono con una battuta. Famosa è la domanda posta da Marforio in occasione delle razzie di tesori a Roma perpetrate da Napoleone all’inizio dell’Ottocento: «È vero che i Francesi sono tutti ladri?» e Pasquino: «Tutti no, ma Bona Parte».

Scendendo dal Campidoglio a Piazza San Marco, addossata a al Palazzo Venezia in un angolo, troviamo un mezzo busto di donna: è Madama Lucrezia. Proveniente da un tempio dedicato a Iside che un tempo doveva trovarsi nei pressi del Collegio Romano, la statua raffigura la stessa divinità o forse una sacerdotessa. Il nome deriva da Lucrezia d’Alagno, nobildonna del XV secolo, amante del re di Napoli Alfonso V di Aragona. Nel 1457 Lucrezia venne a Roma per richiedere al Papa la concessione del divorzio per Alfonso V, che però le fu rifiutato. Alla morte del re, il figlio Ferrante la cacciò da Napoli costringendola a vivere a Roma nel palazzetto adiacente alla statua. Non sembra che il culto fosse particolarmente vivo, ma sappiamo che in occasione del primo maggio, alla festa del “Ballo dei Guitti”, veniva vestita e adornata come una vera dama.

La statua parlante di Madama Lucrezia © Vittoria Sut-2

Poco distante, su via Lata, addossata al muro del palazzo, troviamo una piccola fontana. È la statua parlante del Facchino. La scultura risale alla seconda metà del XVI secolo ed è opera di Jacopo Del Conte che la realizzò su incarico della Corporazione degli Acquaroli, ovvero coloro che raccoglievano l’acqua dalle fontane pubbliche per rivenderla porta a porta. Curioso è il motivo per cui il viso è quasi completamente sfigurato: per via del berretto e dell'abbigliamento da molti era ritenuto addirittura Martin Lutero e per questo preso a sassate dai passanti. Il suo ultimo nome deriva dalla foggia dell'abito e da un’epigrafe scomparsa che riconduceva alla Corporazione dei Facchini.

Lungo l’omonima via possiamo trovare la statua parlante di un sileno disteso sul fianco di una fontana, che per la sua bruttezza venne soprannominato dal popolo romano Er Babuino. Il Babuino entrò sin da subito in competizione con Pasquino, tanto che le frasi satiriche appese al suo collo furono chiamate “babuinate”. Smembrata nel 1877, tornò nel 1957 nuovamente al suo posto per volere dei cittadini.

Infine, al lato della Chiesa di Sant’Andrea della Valle, si erge l’Abate Luigi. Così chiamato dal popolo perché pare ci fosse una forte somiglianza con un vero Abate Luigi, il sagrestano della vicina chiesa del Sudario. La statua fu ritrovata alla fine del Cinquecento nelle fondamenta del palazzo Vidoni e probabilmente raffigura un console o un senatore romano. Purtroppo nei secoli è stata vittima di vandalismo e più volte decapitata, per cui la testa è frutto di continue sostituzioni. È proprio in occasione dell’ennesima decapitazione (1966) che la statua parlò l'ultima volta:

O tu che m'arubbasti la capoccia, vedi d'ariportalla immantinente, sinnò, vòi véde?

come fusse gnente me manneno ar Governo. E ciò me scoccia.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Le sei statue parlanti di Roma

RomaToday è in caricamento