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Economia

Almaviva: "Quell'accordo era un ricatto, ecco perché non abbiamo firmato"

Parla una delle rsu che ha deciso di non sottoscrivere l'accordo sulla sede romana di Almaviva Contact aprendo, di fatto, alla sua chiusura. "Non avremmo bloccato i licenziamenti, li avremmo congelati per tre mesi"

"Quell'accordo non era firmabile. Un vero e proprio ricatto". Barbara Sbardella, rappresentante sindacale Slc Cgil, 16 anni di lavoro in Almaviva Contact all'attivo, è tra le rsu che nella notte tra il 21 e il 22 dicembre non hanno votato l'accordo sulla sede romana al tavolo della trattativa con il Governo. In un'intervista a Romatoday spiega i motivi che hanno spinto tutte le rsu romane, a differenza dei colleghi napoletani, a non firmare l'accordo. 

Partiamo dall'epilogo. Cosa c'era di inaccettabile in quella firma? 

Premetto un aspetto: quell'accordo non interrompeva i licenziamenti. Li avrebbe congelati per tre mesi. Nel frattempo avremmo dovuto discutere di come e quanto abbassare il costo del lavoro e di come aumentare il controllo individuale sul lavoratore. Il tutto in un contesto in cui il 75 per cento dei colleghi lavora quattro ore al giorno e percepisce uno stipendio di 600 euro scarsi al mese. Dopo anni di battaglie contro le gare al massimo ribasso ci saremmo aspettati un accordo diverso con il Governo. E invece sono arrivate solo promesse. 

In cosa consistevano questi tagli?

Sul tavolo della trattativa c'era un abbassamento del costo del lavoro di almeno il 17 per cento. Era stato previsto un impatto sugli scatti di anzianità e sarebbe stato tolto un livello. Inoltre in quell'accordo era prevista una cassa integrazione a zero ore per gennaio, al 70 per cento a febbraio e al 50 a marzo. Dopodiché, se in questi 90 giorni non fosse stato raggiunto un accordo, l'azienda avrebbe potuto procedere con licenziamenti in 15 giorni e senza riaprire alcuna procedura. 

Torniamo alla notte tra il 21 e il 22 dicembre e alla decisione delle rsu romane di non votare l'accordo. Lo rifarebbe?

Quell'accordo non era firmabile e sottendeva un vero e proprio ricatto per i lavoratori. Se ci avessero dato il tempo di riunire i colleghi e loro ci avessero detto di firmarlo l'avremmo fatto, non siamo autorappresentativi. Ma in quel momento avevamo un mandato assembleare a non affrontare nè l'abbassamento del salario nè l'aumento del controllo sul lavoratore. Quella notte abbiamo chiesto uno stop di 24 ore per ulteriori consultazioni ma non ci è stato concesso. Così abbiamo votato secondo quanto emerso dalle assemblee. Credo che con stipendi così bassi effettuare dei tagli non sia proprio possibile. Un esempio. Quella notte inviai a Teresa Bellanova (viceministro dello Sviluppo Economico, tra le parti al tavolo, ndr) una mail con la tredicesima di una collega: ammontava a poco più di 300 euro. Proprio lei, all'inizio di dicembre, nel corso di un'intervista aveva promesso che il Governo non avrebbe mai assecondato tagli agli stipendi dei lavoratori.

Subito dopo l'accordo è stato indetto un referendum dove invece, però, ha vinto il sì. 

Innanzitutto questa consultazione è stata fatta con i lavoratori che avevano tra le mani le lettere di licenziamento. I sì sono stati 590, i no 473. Circa 600 gli astenuti. Ripeto: proporre un taglio ai salari è stata una vergogna, un vero e proprio ricatto. 

Come si è arrivati al punto di chiudere una sede con 1.666 persone?

Dopo la stabilizzazione della maggior parte dei dipendenti, che ha visto i lavoratori acquisire maggiori diritti, non ci sono più state regolamentazioni nel settore. Invece avremmo dovuto continuare in quel senso. Negli ultimi anni abbiamo portato avanti molte iniziative, ci siamo spesi tantissimo. Poi siamo stati messi di fronte a un vero e proprio ricatto. 

Cosa rimprovera al Governo?

Non avrebbe dovuto permettere la stesura di un accordo simile. Aveva messo a disposizione 30 milioni di euro per gli ammortizzatori sociali e aveva promesso che avrebbe provveduto a farsi carico anche del 9 per cento della quota che avrebbe dovuto pagare l'azienda. Le crisi non si gestiscono tagliando i salari. Solo una cosa mi chiedo: come ha potuto una figura governativa come Bellanova, che in Puglia si è battuta contro il caporalato, abbandonare 1.666 lavoratori? Perché dal Governo ci siamo sentiti abbandonati. 

Cosa rimprovera all'azienda?

Ha deciso che voleva chiudere Roma e Napoli e ha avviato un percorso per arrivarci. Come sindacato, nei mesi scorsi, abbiamo fatto degli esposti all'Ispettorato del lavoro perché riteniamo che ci siano state delle storture. Siamo venuti a conoscenza che l'azienda, mentre avviava le procedure di licenziamento, avrebbe assunto dei lavoratori interinali in altre sedi. Abbiamo sempre sostenuto che Almaviva doveva essere una sola e che le commesse dovevano essere lavorate in tutte le sedi. Invece sembra sia stato deciso di saturarne alcune per svuotarne altre, creando degli esuberi.  

Che prospettive hanno ora i lavoratori di Almaviva?

Per ora nessuna. Non serve assistenzialismo ma ammortizzartori sociali che ci permettano di cercare altri lavori. Servono politiche attive da parte della Regione, servono corsi di formazione. Da oggi le istituzioni non si dovrebbero dimenticare che 1.666 lavoratori stanno vivendo un dramma.

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