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Cronaca San Basilio / Via di Scorticabove

Via Scorticabove, i rifugiati cacciati dormono in strada: i romani portano cibo e supporto

Il Comune, dopo aver ignorato per mesi la situazione, ha proposto accoglienza temporanea a tredici rifugiati che ora chiedono: "Dov'è la nostra protezione internazionale?"

Cacciati senza preavviso, sgomberati per uno sfratto recapitato alla cooperativa, ma non a loro. Il Comune, a conoscenza dell'intervento della Polizia, si è attivato solo nella mattinata di ieri, con gli operatori della Sala Operativa sociale intervenuti insieme alla Polizia. Così ieri, in assenza di certezze, e con la fumosa promessa del Comune di una sistemazione nel circuito di accoglienza degli extra Sprar, i 120 rifugiati sudanesi di via Scorticabove, regolarmente in Italia, hanno deciso di restare in quella via e di dormire di fronte a quella che per 13 anni è stata la loro casa. 

E la scene di piazza Indipendenza, rimbalzate in tutto il mondo, sono apparse più vicine. Da mesi infatti associazioni e sindacati hanno indicato questa di via Scorticabove come una potenziale polveriera. Da mesi, per questo motivo, il Comune viene sollecitato per trovare una soluzione. E per mesi il Campidoglio ha fatto orecchie da mercante, limitandosi ad un censimento a cui poi non è seguito supporto, sostegno e soluzioni.

Così ieri Aboubakar Soumahoro di Usb, in un ultimo disperato appello, ha provato a chiedere un intervento della sindaca Virginia Raggi: "Il nostro appello va direttamente alla sindaca di Roma, Virginia Raggi. Venga qui e si confronti con noi. Sono tutti rifugiati del Sudan, vivono qui da 13 anni, hanno protezione internazionale e nel loro Paese non possono tornare. Abbiamo chiesto a suo tempo un tavolo di confronto, ma non abbiamo mai avuto risposta. Questo è il nuovo che avanza? La Raggi deve prendersi le sue responsabilità". 

VIDEO | Sudanesi di via Scorticabove a rischio sgombero: “Sarà una nuova piazza Indipendenza”

Il Comune non ha battuto ciglio, ha ignorato le parole di Soumahoro e si è coperto dietro l'intervento degli uomini della Sala Operativa sociale. Una comunicazione neanche ufficiale, ma fatta filtrare come fonte ufficiosa a quanti - pochi - hanno dato notizia dello sgombero. Insomma, di metterci la faccia tanto Raggi, quanto l'assessora nonché ex esponente di spicco di Unicef Italia Laura Baldassarre, non ci hanno pensato proprio. Solo ieri  dopo le 20, senza far sapere nulla a nessun giornalista e con la certezza quindi di non finire su tg o giornali della mattina, la responsabile delle politiche sociali del Campidoglio si è fatta vedere in via Scorticabove. Con lei Germana Di Pietro, presidente della commissione Politiche sociali del IV municipio.

La Baldassarre ha ribadito che il Comune non era a conoscenza del blitz della Polizia (a smentirla l'ufficiale giudiziario davanti alle telecamere) e che è in atto ogni iniziativa per garantire l'assistenza e l'accoglienza. Quali? I circuiti extra Sprar, in vari centri di seconda accoglienza della Capitale. Ne troviamo nel quartiere Casalotti, a Torre Maura, a Tiburtina.

Secondo quanto si apprende dei 120 occupanti solo in due avrebbero accettato una delle soluzioni proposte, ovvero le "casette di latta", stile Ikea, del centro di via Ramazzini. Compatta la richiesta della comunità di via Scorticabove: "Nessun assistenzialismo, solo la possibilità di poter avere una struttura dove mantenere insieme la comunità che si è andata formando in questi 13 anni". Indicate anche le soluzioni, in particolare nella delibera di recente approvazione sulla gestione dei beni confiscati alla Mafia. La Baldassarre ha preso tempo, promettendo per i prossimi giorni la convocazione di un tavolo.

Da qui la protesta e la permanenza in via Scorticabove anche di notte, con coperte e materassi arrivati dalle altre occupazioni della città. E con il supporto di associazioni umanitarie di volontari, dai ragazzi dell'ex Baobab ad Alterego, ai Blocchi Precari Metropolitani, alla Croce Rossa che ha portato un pasto caldo e offerto supporto medico dove serviva. 

E in mattinata una trentina di sudanesi si sono recati presso la sede di Unhcr di via Caroncini ai Parioli per essere ricevuti e spiegare la propria situazione. 

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