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Cronaca

Poliziotto di Rebibbia si toglie la vita: "Il sesto suicidio dal 2013"

A commentare l'accaduto il segretario dell'Osapp, Leo Beneduci. "Per quanto dietro al gesto estremo ci siano certamente sofferenze personali, lavorare in carcere è al limite del sopportabile"

Lo hanno trovato morto dopo cinque giorni nella sua abitazione a Marcellina. Un altro agente di polizia penitenziaria  che si toglie la vita, il sesto caso nel 2013. Dietro il gesto estremo certamente motivazioni personali inerenti alla sfera privata della vittima. Ma il caso fa da spia, l'ennesima, di un disagio comprovato e denunciato da più parti. 

Il poliziotto lavorava nel carcere di Rebibbia, dove sono impiegati 660 agenti contro gli 860 previsti dalle normative. Il dato, che testimonia di un organico sottodimensionato, ci viene fornito dall'Osapp (Organizzazione Sindacale Autonoma Polizia Penitenziaria), che commenta l'accaduto. 

"Lavorare in carcere certo non aiuta eventuali sofferenze private - spiega il segretario Leo Beneduci - il corpo degli agenti penitenziari è completamente abbandonato e disorganizzato, le istituzioni non intervengono da anni, è dal 1992 che il corpo non viene riformato". Un lavoro ingrato e non riconosciuto "nonostante la sua funzione rieducativa, unica nei corpi di polizia". 

Il problema fondamentale riguarda il numero di poliziotti, nettamente inferiore alle necessità. "Come già detto non abbiamo aumenti di organico dagli anni '90, il tutto in concomitanze con i tagli agli stipendi e ai posti ricoperti da funzionari di alto profilo, come ad esempio gli educatori". Vuoto spesso colmato dagli stessi baschi azzurri. 

E se i detenuti hanno percentuali di suicidio che superano del 20% quelle di un normale cittadino, anche i numeri che toccano gli agenti non sono da sottovalutare, "il 6 - 7% in più". Per non parlare dei tanti casi di ricoveri legati a patologie di natura psichica. 

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