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Cronaca Ghetto

Su Gaza, le voci dal Ghetto

Nei giorni dell'attacco via terra dell'esercito israeliano a Gaza siamo andati al Ghetto a raccogliere la posizione degli ebrei romani: “L'opinione pubblica non ha una visione equilibrata: si tratta di difesa e lotta contro il terrorismo”

"Vojo veddè come rispondevano loro, se gli bombardavano casa…!”, esclama una signora al bar di fronte alla Sinagoga, leggendo il giornale. Fa freddo, oggi, al Ghetto ebraico di Roma, mentre il sole illumina il Portico d’Ottavia. L’atmosfera, in superficie, sembra la solita: tavoli colorati per le strade, grida, ragazzi che corrono e ridono all’uscita della scuola ebraica. In queste ore drammatiche per il Medio Oriente, però, il quotidiano è permeato da un’attesa sospesa.

“Da parecchio tempo ormai ho rinunciato al fatto che l'opinione pubblica possa avere una visione equilibrata”, racconta David, 33 anni di Roma, ebreo conservatore, che vive a Monteverde e lavora in Piazza delle Cinque Scole.

“Ancora una volta lo Stato d'Israele è stato costretto dai suoi vicini non troppo pacifici e tolleranti (per usare un eufemismo...) ad intraprendere una guerra che costerà la vita, purtroppo, anche a tante persone innocenti”. L’accusa ad Hamas è diretta: vorrebbe distruggere lo Stato di Israele e costituire un regime islamico integralista in tutta la regione. Mentre Israele, ricorda David, “si è completamente ritirato da Gaza nel 2005”.

La Striscia di Gaza è il luogo più popoloso del mondo. “Perciò, purtroppo, nonostante le attenzioni dell'esercito israeliano, ad oggi, risulta che circa un quarto delle vittime siano civili innocenti”. Israele, quindi, anche secondo il punto di vista degli ebrei romani, si starebbe “solo difendendo”. Il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni, ha ribadito nei giorni scorsi che le operazioni militari dureranno a lungo e che la battaglia ancora in corso è una lotta “contro il terrorismo'”. “In considerazione della sua schiacciante superiorità militare – dice David – avrebbe potuto costringere Hamas alla resa bombardando con maggiore intensità la Striscia di Gaza”.

Golda Meir (primo ministro di Israele negli anni '70) disse – ricorda David – agli egiziani in seguito alla firma degli accordi di pace: "vi perdoniamo per aver ucciso i nostri figli, ma non vi perdoniamo per averci costretto ad uccidere i vostri". E “è proprio in queste parole – conclude – che è racchiuso il dramma del Medio Oriente che Israele sta ancora una volta vivendo”.

“Non potremo mai capire cosa si prova ad essere un israeliano o un palestinese…”, dice Federico, 22 anni. “E di certo essere ebrei non ci infonde la capacità di giudicare meglio il conflitto. Anzi, forse ci rende di parte.. L'importante è essere informati su ciò che succede nel mondo e non fregarcene perché tutto ciò accade a migliaia di chilometri da noi. Schierarsi serve solo a fomentare l'odio che tanto denigriamo invocando la pace”.
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