rotate-mobile
Cronaca

Scontri, il padre di uno dei fermati: “Tenerlo dentro più a lungo”

Il padre di uno dei ragazzi fermati e poi rilasciati dichiara: "Dovevano tenerlo dentro più a lungo. Fa il comunista ma poi ha casa a mie spese a Monte Mario, mica a Centocelle"

Insolita reazione di un padre di fronte alla notizia della liberazione del figlio fermato durante gli scontri sul Lungotevere del 14 novembre passato.
Suo figlio Christopher studia Scienze Politiche a La Sapienza e vive nella capitale e mercoledì scorso è stato fermato. Il quotidiano Il Giornale, riporta un'intervista in cui il padre, Giorgio Chiesa, condanna il gesto del figlio e, cosa più inaspettata, se la prende contro il Gip che ha liberato il figlio dichiarando: “Dovevano tenerlo dentro più a lungo”.

Il padre del ragazzo è il titolare di un noto ristorante di Cuneo e, rilasciando la sua intervista, spiega di farlo per assumersi le responsabilità di padre e perché ha paura per tutti i ragazzi che oggi, a suo avviso, vengono sobillati dai più grandi e “avviati” verso le violenze.

Scontri a Roma: studenti e polizia sul Lungotevere

Ecco le sue parole rilasciate a Il Giornale:
"Voglio racconta­re la mia esperien­za di padre one­sto che si ritrova con un figlio che si macchia di que­sti reati e soffre. La società sotto­valuta queste cose, le liquida co­me ragazzate. Ma altro che sem­plice firma, dovevano tenerlo dentro più a lungo. Se restano impuniti li glorifichiamo.

Senza una puni­zione gli toglia­mo persino il sen­so di colpa. Lui è tutto tronfio per questa pseudo­vittoria giudizia­ria. Mi ha detto: “Visto che il Gip mi ha mandato a casa? La lotta con­tinua”. Del resto, basta guardare il suo profilo Face­book con la frase della fondatri­ce della banda Baader Meinhof ('Se uno lancia un sasso, il fatto costituisce reato. Se vengono lanciati mille sassi, diventa un’azione politica...') per capi­re che col buonismo non ottenia­mo nulla.
Il mondo non si cam­bia con le bombe carta.
Sento il dovere, da padre che ha coscienza delle responsabili­tà verso il figlio e verso la società, di lanciare un allarme. In questo momento ci sono focolai di per­so­ne che sobillano questi ragaz­zi, come 30 anni fa. Sono preoc­cupato, temo che quel periodo si possa ripetere. E mi piacereb­be che protagonisti di quegli an­ni come Curcio, Franceschini, intervenissero per dire ai giova­ni di oggi: “Non fate lo stesso er­rore”.

Intanto c’è quello che capto dai racconti di mio figlio, che stu­dia Scienze politiche alla Sapien­za, mi contesta, fa il comunista ma poi a Roma ha casa, a mie spese, a Monte Mario, mica a Centocelle. Temo che lì ci siano cellule combattenti. Questi ra­gazzi sono plagiati.

Appena arrestati hanno gli av­vocati pronti. Ho incontrato uno dei suoi legali, dopo l’inter­rogatorio di garanzia, gli ho chie­sto come dovevo regolarmi, an­che per la parcella. Mi ha rispo­sto che almeno nella fase inizia­le, in quanto socio di un centro sociale, ha diritto al patrocinio di un avvocato, e che non devo nulla.

La notte della scarcerazione gli ho mandato un sms. Gli ho detto che sono suo padre e che per lui sono un punto di riferimento. Ma gli ho detto anche che, da pa­dre, non posso esimermi dal condannarlo. Io lavoro, non lan­cio sanpietrini ai poliziotti. E non possiamo fare di questi ra­gazzi degli eroi. Col garantismo familiare non li aiutiamo a cre­scere.".

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Scontri, il padre di uno dei fermati: “Tenerlo dentro più a lungo”

RomaToday è in caricamento