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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

Muore per una trasfusione infetta. Risarcimento record per i familiari della vittima

L'uomo, un romano, è morto nel 2020 dopo aver ricevuto la trasfusione nel 1985 all'ospedale di Bracciano

Aveva avuto bisogno di una trasfusione di sangue nel 1985. Nel 1990 la terribile scoperta: aveva contratto l’epatite C. Una malattia con la quale ha convissuto fino al 2015. È la triste storia di un signore romano di Cesano, scomparso al Fatebenefratelli di Roma a causa del decorso degenerativo della malattia epatica. I familiari, nel 2020, hanno fatto causa al ministero della Salute e, pochi giorni fa, è arrivata la sentenza di primo grado: lo Stato dovrà risarcire 670mila euro agli eredi.

La sentenza

A stabilire l'entità del danno è stata la II sezione civile del Tribunale di Roma che con sentenza del 23 ottobre 2023 ha condannato il ministero della Salute al risarcimento. Anche se siamo in primo grado, è molto probabile che la vicenda giudiziaria sia già chiusa. È difficile, infatti, che il ministero della Salute faccia ricorso in appello. Del resto, esiste la legge 210/92 approvata appositamente per tutte quelle persone che, tra gli anni ’70 ed ’80, sono state vittime di emotrasfusione con sangue infetto.

Nesso tra trasfusione e decesso

Dopo la scomparsa, la moglie ed i nipoti della vittima si sono affidati al Tribunale per i diritti del malato e, dando incarico legale all’avvocato Maurizio Albachiara, hanno citato in giudizio il ministero della Salute per “accertare la condotta omissiva del dicastero di via Lungotevere Ripa, sulle sacche di sangue destinate alla trasfusione e per la conseguenziale richiesta dei danni subiti per la morte del congiunto”. Contestualmente all’iscrizione a ruolo della causa, la commissione medico ospedaliera di Roma riconosceva il nesso tra le complicanze della patologia epatica e il decesso. I parenti della vittima, tra l’altro, avrebbero potuto fare causa già nel 1990, quando venne accertata la terribile situazione clinica dell’uomo il quale, ovviamente, ha subito pesanti ripercussioni sul suo percorso di vita.

Trasfusioni non controllate

In questi casi è sempre molto difficile riuscire a dimostrare il nesso causale tra emotrasfusione, patologia e decesso. “Abbiamo presentato tutte le cartelle cliniche e gli esami che aveva fatto l’uomo – spiega, a RomaToday, l’avvocato Maurizio Albachiara - si evinceva che gli sono state inoculate sacche di sangue nel 1985 e prima del ricovero non aveva l’epatite. Negli anni ‘70 e ‘80 molte trasfusioni erano infette e non venivano controllate. La vittima, inoltre, non aveva altre patologie e altri elementi che potessero far presagire altre infezioni”. Il giudice del Tribunale di Roma, dopo l’attività istruttoria, ha accertato la veridicità della ricostruzione dell’avvocato Albachiara.

I risarcimenti

Nella sentenza veniva riconosciuta la responsabilità del ministero per non aver vigilato e controllato il sangue utilizzato per le trasfusioni e per non aver controllato che il sangue dei donatori presentasse alterazioni delle transaminasi e condannava il ministero della Salute al pagamento in favore della moglie e del figlio della somma di 400mila euro oltre interessi per il danno da perdita del rapporto parentale. Veniva condannato altresì il ministero al pagamento di 268 mila euro a favore dei due nipoti della vittima per il particolare rapporto che legava i piccoli al nonno.

«Questa sentenza rappresenta una delle battaglie vinta dallo studio Albachiara, purtroppo il paradosso è che per la liquidazione degli importi riconosciuti bisognerà fare un altro giudizio presso il Tar affinché lo stesso obblighi il ministero ad ottemperare al pagamento. Resta la soddisfazione sta nel fatto che oltre ai familiari è stata riconosciuta una congrua somma anche ai nipoti», ha commentato, in una nota, l’avvocato Maurizio Albachiara.

Per quanto concerne il pagamento del risarcimento, le amministrazioni pubbliche hanno tempo fino a 4 mesi dalla notifica della sentenza per adempiere. Però, anche se ultimamente le cose sembrano essere migliorate, i tempi non vengono quasi mai rispettati. Così, per forza di cose, c’è bisogno di fare ricorso al Tar per accelerare le procedure.

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