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Cronaca

Ucciso sul Gra, poliziotto assolto in primo grado: il Pm ricorre in appello

Per l'accusa, chi ha fatto cadere le contestazioni di eccesso colposo con uso legittimo delle armi ha "erroneamente giudicato". L'avvocato Fabio Anselmo: "Sono molto soddisfatto"

"Il caso Budroni non è finito, l'avevamo promesso. Sono molto soddisfatto". E' chiaro, conciso, e di "grande soddisfazione" il commento dell'avvocato Fabio Anselmo, legale di parte civile nel processo per la morte di Bernardino Budroni, il 40enne romano di Fontenuova ucciso da un colpo di pistola sparato da un agente di Polizia la notte del 30 luglio 2011.

RICORSO IN APPELLO - Michele Paone, il poliziotto che ha premuto il grilletto, è stato assolto in primo grado lo scorso 15 luglio dal reato di omicidio colposo, ma il Pm, Giorgio Orone, ha chiesto il ricorso in appello. Si tornerà sul banco degli imputati, perché, per l'accusa, la "ricostruzione del fatto" che ha portato all'assoluzione è "contraddittoria e in alcuni punti superficiale".

Per il magistrato, chi ha fatto cadere le contestazioni di eccesso colposo con uso legittimo delle armi ha "erroneamente giudicato" e così facendo ha finito "per attribuire una patente di assoluta liceità a una condotta, quella tenuta dall'agente Paone, che oltre ad aver determinato conseguenze gravissime, appare il frutto di un evidente errore valutativo, ancor prima che esecutivo, attribuibile a grave imperizia ed imprudenza". 

L'ASSOLUZIONE - La sentenza di assoluzione risale allo scorso 15 luglio. Per il magistrato che l'ha emessa il poliziotto sotto accusa avrebbe fatto uso legittimo della pistola. Il Pm, invece, aveva richiesto una condanna a due anni e sei mesi per l’imputato. Nelle motivazioni viene spiegato che "l'iniziativa assunta dall'agente appare [...] adeguata e proporzionata" e inoltre, sarebbe "del tutto erronea una comoda e asettica valutazione a posteriori, condizionata soprattutto dalla conoscenza dell'accaduto luttuoso poi verificatosi". 

Il comportamento del poliziotto sarebbe stato giustificato, insomma, dal voler interrompere una "grave e prolungata resistenza". Versione che ha lasciato senza parole la famiglia di Dino e il suo avvocato, stesso legale dei casi Cucchi e Aldrovandi, che ha sempre strutturato la difesa intorno alla tesi del colpo sparato ad auto già ferme e non in corsa: gli agenti che hanno inseguito Budroni non avrebbe esploso il proiettile per arrestarne la fuga.

LA RICOSTRUZIONE - Ma cosa accadde quella notte di tre anni fa? Tutto partì da una telefonata della ex di Budroni, che quella notte chiamò la polizia per denunciarlo: disturbo della quiete pubblica. Gli agenti accorsero in via Quintilio Varo a Cinecittà per intervenire sul presunto stalker, che però fuggì ai controlli sfrecciando via con l'auto. 

Da lì la tragica corsa sul Gra fino all'altezza dell'uscita Nomentana, dove la Focus di Bernardino finisce sul guard rail con dentro il suo corpo, senza vita, insanguinato. Un proiettile fatale lo ha colpito al fianco destro. Del tutto inutili gli interventi dei sanitari. A inseguire Budroni, insieme ai poliziotti, anche una gazzella dei Carabinieri.

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