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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

Caso Cucchi, appello contro la sentenza di primo grado: "Colpito dagli agenti"

I pm che hanno indagato sul geometra morto quattro anni fa al Pertini ritirano in causa la testimonianza di Samura Yaya. La richiesta è di condanna anche degli uomini della penitenziaria assolti

I pm che hanno indagato sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra morto quattro anni fa durante il ricovero all'ospedale Pertini di Roma e una settimana dopo il suo arresto per droga, hanno proposto appello contro la sentenza con cui la III Corte d'assise nel giugno scorso ha condannato per omicidio colposo (e non per abbandono d'incapace come chiesto) cinque dei sei medici imputati (un sesto medico fu condannato per falso ideologico), e assolto tre infermieri e tre agenti della Polizia penitenziaria.

ATTO DI APPELLO - Nell'atto d'appello (che si aggiunge a quello delle parti civili che, dopo l'accordo ospedale-famiglia per il risarcimento dei danni, hanno contestato solo la sentenza assolutoria per gli agenti) si contesta punto per punto il giudizio di primo grado, chiedendone la totale riforma.

SUPER TESTIMONE - Partendo dalle dichiarazioni di un supertestimone Samura Yaya, un detenuto del Gambia (che disse di aver visto e sentito il 'pestaggio' di Cucchi nelle celle di Piazzale Clodio, ma che è stato ritenuto inattendibile dalla Corte), i pm ritengono le conclusioni dei giudici "non condivisibili". "Tutte le testimonianze raccolte, a differenza di quanto sostenuto dalla Corte – si legge nell'appello - confermano quanto riferito dal Samura in ordine al comportamento degli agenti che in seguito alle insistenti richieste del Cucchi lo colpivano con una spinta e dei calci, in modo da farlo cadere a terra e procurargli le lesioni che ne hanno determinato il ricovero".

ISTRUTTORIA - Un 'passaggio' importante, poi, è quello intitolato: "I tentativi di far ricadere la responsabilità sui carabinieri". "Nel corso dell'istruttoria dibattimentale – scrivono i pm – è stato offerto alla Corte la possibilità di capire come il riferimento al fatto che Cucchi avesse subito lesioni ad opera di non meglio identificati o identificabili carabinieri, facesse parte del tentativo di allargare la cerchia dei colpevoli da un lato, e difendere o escludere la responsabilità degli agenti dall'altro". E, "tra le numerose persone escusse in udienza, quelle che riferiscono di avere appreso da Cucchi che erano stati i carabinieri ad averlo percosso sono sempre state smentite o comunque non confermate dai riscontri effettuati. Del resto non risulta nemmeno che gli imputati, agenti della Polizia penitenziaria che avevano preso in consegna dai carabinieri il detenuto, abbiano sentito l'esigenza, per esimersi da eventuali responsabilità, di sottoporre Cucchi a visita medica".

CONDANNA AGENTI ASSOLTI - La conclusione è la richiesta di condanna anche degli agenti assolti perché si ritiene "di tutta evidenza la scorrettezza grave che ha caratterizzato l'attività della Polizia penitenziaria nell'esercizio concreto della custodia dell’arrestato".

MEDICI E INFERMIERI ABBANDONARONO STEFANO - Le conclusioni in diritto cui è giunta la Corte, che, condividendo la tesi dei periti della morte per inanizione di Cucchi, hanno riqualificato in omicidio colposo il più grave reato di abbandono d'incapace contestato a medici e infermieri del 'Pertini' (per i quali chiedono di ripristinare l'originaria imputazione e condannarli), "non sono condivisibili". Lo scrivono i pm nel loro atto d'appello alla sentenza di primo grado. "La Corte – si legge - ha ritenuto che l'abbandono di persona incapace non si potesse configurare perché Cucchi non era in stato d'incapacità d'intendere e di volere, e perché l'elemento soggettivo in capo ai sanitari che lo avevano avuto in cura non era il dolo ma la colpa". Conclusioni "non condivisibili" per i pm, i quali sostengono come "evidente" che Cucchi si trovasse in uno stato d'incapacità di badare a se stesso "per essere costretto a letto dalla malattia (frattura) per la quale aveva un decubito obbligato, e soprattutto per essere detenuto in un reparto di medicina protetta, equiparato ad un carcere, che ne impediva qualsiasi movimento e soprattutto gli impediva di scegliere i medici da cui farsi curare". Il reato di abbandono d'incapace, infine, per i pm deve essere contestato anche agli infermieri, "giacché gli stessi sono stati inspiegabilmente assolti soltanto sulla base di quanto ritenuto dai periti e cioè che non era nelle loro facoltà di sindacare le iniziative dei medici alle quali risultano essersi attenuti".

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