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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca Bologna / Largo Guido Mazzoni

Tiburtina: un campo profughi all'ombra della stazione da 330 milioni di euro

Sono etiopi ed eritrei. Sono lì da 4 giorni. Quasi nessuno parla l'italiano. Dormono per terra, sotto gli alberi, senza alcun riparo, tra l'indifferenza generale

Lo chiamano 'the forest', la foresta. Eppure, altro non è che largo Mazzoni, il piazzale davanti alla stazione Tiburtina. Da quattro giorni è la casa di centinaia di profughi, letteralmente accampati sotto gli alberi a pochi metri dalla stazione ferroviaria di Tiburtina, quella costata 330 milioni e che avrebbe dovuto costituire il fiore all'occhiello dell'Italia moderna, e all'ombra della Città del Sole, gioiello architettonico di Parsitalia.

Gli immigrati provengono da Etiopia ed Eritrea, e vivono sotto gli alberi del piazzale, tra l'indifferenza di tutti. Alcuni sono un po' reticenti a parlare o a farsi fotografare. Qualcuno, invece, parla volentieri, desidera raccontare la sua storia, indica chi sa parlare meglio l'inglese. Ma l'ostacolo più grande è proprio la lingua: pochissimi di loro capiscono parole di italiano, qualcuno parla un inglese un po' stentato, molto viene espresso a gesti. Per lo più sono di madrelingua aramaica, tutti musulmani. In giro, quando arriviamo, non se ne vedono più di 40: Loro però dicono di essere 150, forse 200. E qualche frequentatore del piazzale conferma quei numeri.

Per terra hanno messo dei teli, su cui stanno seduti durante il giorno o si sdraiano per dormire di notte. Intorno, nessuna ombra di tenda, né tantomeno di un qualunque tetto o riparo di fortuna. Sembrano dormire a cielo aperto. La pioggia? "No problem", fanno capire a gesti. Non paiono esserci ripari di nessun tipo. Accanto, alcuni sacchi di plastica, che contengono le loro poche cose. "Non abbiamo casa - dicono - solo 'la foresta". Già, perché per loro Largo Mazzoni e i suoi alberi è una giungla, con un po' d'asfalto e di cemento, migliore dei luoghi da cui fuggono.

Intorno a loro, nessuno sembra averli notati, né pare essersi accorto della loro presenza. La vita alla stazione Tiburtina procede secondo routine, la gente sale e scende dagli autobus senza degnarli di uno sguardo, almeno in apparenza. "Molti ci ignorano, alcuni ci guardano fissi ma non dicono nulla, solo qualche passante ogni tanto si ferma a chiedere se ci può aiutare", è ciò che fanno capire a gesti e nelle poche parole inglesi che conoscono. Ma la situazione rimane sempre uguale.

Ma da dove vengono e come sono arrivati in Italia? "Scappati ... mare ... Sardinia", queste le poche parole che raccontano il percorso che li ha portati qui a Largo Mazzoni, all'ombra della stazione da 330 milioni di euro. Raccontano, con i loro pochi mezzi linguistici, di essersi imbarcati su navi provenienti da vari Paesi dell'Africa, come la Libia, la Somalia, forse il Sudan, e di aver attraversato il mar Mediterraneo, fino ad arrivare a Roma. Tutte le altre parole non le conoscono.

L'Italia non è il loro approdo finale. Nel loro poco inglese, fanno capire di essere passati da qui per raggiungere altre mete. Soprattutto altri Paesi dell'Europa: "Germania, Norvegia, il nord Europa", queste le loro mete. Ma non hanno soldi, dicono. Nè casa, né soldi. E, davanti alla domanda 'come farete a trasferirvi?' rispondono con il silenzio.

Profughi a Tiburtina

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